HORUS

HORUS

Benvenuti alle Porte di Orione

"No time, no space, another race of vibrations..."
Una dimensione parallela, in cui il tempo cessa di scorrere e lo spazio non ha più alcun significato.
In realtà, nulla ha un significato proprio, oltre quello che noi gli attribuiamo o che crediamo di conoscere.
Sono Horus Der Wanderer, e sulla rotta tracciata dagli occhi di smeraldo dell'antico Gabbiano, scivolando sull'onice del Cielo e proseguendo oltre le miniere d'argento della settima Luna, Iside mi svelò la via della costellazione mitologica ove adesso vago.
Molti ho incontrato sul mio cammino, che avevano smarrito la propria via o semplicemente ne cercavano una nuova.
Io sono colui che accompagna attraverso i varchi dell'Esistenza.
Benvenuti alle Porte di Orione.
Horus il Viandante.

giovedì 29 agosto 2013

Solaris









Stanotte ho sognato. 
Io in genere non sogno. Vedo. 
Ma questa volta era un sogno, un normalissimo sogno...frutto della mia anima e basta. 
Evidentemente, non ho più nulla da vedere. 
O non vi ho più alcun interesse. 
Ero tornato indietro, come se fossi entrato in una macchina del tempo. 
Ero l'Io di adesso, nè ringiovanito nè altre sciocchezze. 
L'Io del 2013, di 39 anni. 
Ma ero finito in una scuola superiore mai vista della mia città, non so a fare cosa esattamente. 
Sembrava un istituto magistrale, c'erano molte ragazze. 
Credo fosse o il 1988 o il 1990, qualcuno me l'aveva detto o l'avevo letto io su un calendario. 
Un pò come in "ritorno al futuro", mi divertivo a parlare con quelle ragazze di maturità, vestite come si usava allora, usando ciò che mi ricordavo di quegli anni...all'epoca avevo la loro stessa età o grosso modo. 
Mi divertivo anche a fare il "mago" (nel senso di illusionista, questa volta)...a parlare loro di internet e di altre cose del "futuro", come se parlassi di un'invasione di marziani di lì a qualche anno. 
C'erano due ragazze, accanto a me, con l'aspetto molto da prime della classe...occhialoni da vista e capelli vaporosi sempre anni '80. 
Mi ha divertito molto impersonare il bonario demiurgo in possesso di chissà quali rivelazioni. 
Mi ha divertito molto l'idea di essere finito in una piega dello spazio-tempo. 
Proveniente da un'altra piega dello spazio-tempo. 
E, adesso, destinato chissà dove e chissà quando. 
In verità, avrei voluto rimanere lì. 
E ricominciare tutto da capo, dare vita ad una nuova e diversa illusione. 

Horizon

Non so se vi siete mai trovati sul crinale di una duna. 
Apparentemente, vi è deserto da entrambi i lati. 
Apparentemente, non vi è differenza allo sguardo. 
Ovunque, distese torride di forme inafferrabili, infinitamente uguali. 
Ero con mio padre, portava il fiore dai quattro petali bianchi 
Vidi che era il Sole, che da un lato nasceva e dall'altro moriva. 
Talmente semplice, che nessuno lo aveva mai compreso. 
Qualcuno scese dal crinale, ancora in cerca della strada per Cartagine. 
Noi, invece, riprendemmo il cammino. 
E intanto, le dune cambiavano di nuovo forma. 




domenica 30 ottobre 2011

Vento di una mattina d'autunno


Pensieri che volteggiano abbracciati a ricordi, nel silenzio di una musica impercettibile, trasportati dal vento di una mattina d'autunno. E mi siedo in riva al mio mare, ad osservare la luce dorata e prepotente che sorge lontana. Ed a occhi chiusi, immobile, li abbraccio.

sabato 24 settembre 2011

Luna di Settembre

Archivolto immenso di blu profondo abisso, quasi nero. Ma il nero non si addice ai bagliori rossastri di silenzio in lontananza, non si addice ai corpi che brillano sospesi nell'antimateria e, quindi, invisibili.
Ieri sera camminavo in silenzio per una strada deserta, nero il mare nero il cielo. Ma non era nero, non ero nero, lo ero stato.
Pochi minuti prima, una vita fa, in una dimensione parallela o mai, poco importa.
Camminare nel deserto di notte offre una visione particolare e complementare delle restanti vicende: avete presente quando si spicca il volo da una rupe e ci si lancia in planata sulle vallate sottostanti?
E' facile, ognuno di noi lo sapeva fare: aprire le ali e spiccare un salto, e via il gioco è fatto.
No, non potete avere presente. E forse neanche io, forse è tutta un'illusione il cui confine non mi è mai stato chiaro dalla realtà
Ma la realtà è solo illusione con abiti buoni della Domenica.
L'illusione nacque un venerdì o forse un sabato mattina, adesso non ricordo più.
Era nata su un divano bianco, in una mattina silenziosa, solare e fredda di un tardo mese invernale, saluto singolare ad un anno improbo che andava via.
Era nata ad ora di pranzo, lo stesso orario al quale sono nato io.
Mi arrivò addosso senza che nemmeno me ne accorgessi, e da una singola mattina nacquero per gemmazione infinite notti stellate, piovose, calde e fredde.
E' singolare come da un'Illusione nata una mattina, si disveli un intero universo notturno.
E' forse la stessa Dynamis del Creato: dall'Atto Supremo iniziale, atemporale ed adimensionale, poderose ruote dentate sembravano comparire dal nulla e moltiplicarsi all'infinito, incastrandosi alla perfezione. Una perfezione in cui il rischio di restare stritolati è a volte alto, altre volte altissimo, altre volte ancora inaccettabile.
Ed è nell'inaccettabile che sviluppo la mia dimensione preferita. Per questo cammino nella notte deserta, punto di luce alata in mezzo agli oscuri. Col rischio di confondere l'elsa con la lama quando impugno la mia spada.
E cammino, cammino nell'Illusione della realtà. Dove confondo il nero col blu, dato che di bianca è rimasta solo la mia tunica.
Immagino che laggiù vi siano montagne, vallate, oceani e laghi, cose belle e bellissime.
Vedevo le stelle declinare sulla volta nera- non nera, e camminavo nel silenzio.
Abbiamo sempre sognato, ci siamo sempre sognati.

Ritorno su Orion

All'occasionale viandante che mai si dovesse imbattere in queste pagine, io narro.
Ho visto che il mio ultimo post risale addirittura al febbraio del 2009....da allora di cose ne son cambiate, e ne son cambiate veramente tante.
Ritorno su queste pagine, affinchè l'occasionale viandante imbattutovisi non abbia a rimanerne deluso.
Horus.

domenica 15 febbraio 2009

Il mio canto libero

Non ho grandi ricordi degli anni '70, ma a volte un sottile sapore di terra perduta mi pervade ugualmente.
I miei primi ricordi di essere umano sono fissati ad una data, il 1978. Fu il primo anno che riuscii a individuare nella mia mente di bambino: allora avevo 5 anni, e avevo preso coscienza che in quell'anno esistevano un 7 ed un 8.
Pochissimi ricordi, sparsi: gli esami di maturità classica di mio fratello (oggi medico), e soprattutto passeggiate nelle fredde mattine di Roma a trastevere in febbraio, con mio padre.
Allora mia madre lavorava lì.
Come una sorta di feticci, ho delle immagini sparse che mi riportano a quegli anni, una in particolare (non di grande valore): una volante della polizia.
All'epoca esisteva la Celere, progenitore dell'attuale squadra mobile. Un reparto creato e voluto da Mario Scelba, un ministro democristiano più volte sospettato di antiche collusioni col Fascismo. Erano i famosi poliziotti che tante volte si vedono nei video di quegli anni, quelli che calzavano gli elmetti della seconda guerra mondiale e caricavano con i manganelli.
Ecco, uno dei pochi ricordi che ho in mente di quello scorcio di anni '70 consiste in questo: una giulietta della polizia, verde oliva (quando la polizia italiana era ad ordinamento paramilitare, prima della riforma del 1982), che sfrecciava con la sirena monotonale (sparite anche quelle) per una via di Roma.
Quanta simbologia in quel ricordo, quanta...
Gli anni '70 erano anni di grande fermento, di profonda affermazione delle identità.
Ed erano anche gli anni di piombo italiani: si sparava e si sparava parecchio, era un dato di fatto.
Ricordo perfettamente la ruota di telegiornali nei tragici giorni e nelle tragiche ore del sequestro Moro...fatti di cronaca grandi, potenti, immani oserei dire, che riuscivano a colpire e catturare l'attenzione apprensiva anche di un bambino.
Erano anni in cui lo scontro era all'ordine del giorno, in cui ci si poteva aspettare di tutto.
Ma erano anche anni di fermento, dicevo...erano anni di promessa, erano anni di ricrescita dopo l'austerità dei primi anni del decennio.
E soprattutto, erano anni di identità forte, di identità difesa e rivendicata.
Il fascista era fascista, e il comunista era comunista. Erano anni in cui si era disposti a morire per la difesa delle proprie idee, in cui essere Italiani, non importa se in un senso o in un altro, aveva comunque un senso...e questo senso era molto profondo.
Erano anni di cultura, di grande impegno personale e collettivo su ogni fronte, erano anni di italianità...giusta o sbagliata che fosse, ma erano comunque anni in cui anche gli Italiani esistevano al mondo.
Poi arrivarono gli anni '80, e gli italiani smisero di fare gli italiani e iniziarono a fingere di essere americani...smisero di sognare, smisero di credere, smisero di lottare, smisero di costruire, dismisero l'Italia.
Di quella Terra, di quella Gente...non rimase più nulla.
Solo ricordi sparsi di una pantera della Celere che sfreccia per le vie di Roma.

lunedì 19 gennaio 2009

La gita a Monte Pellegrino - parte II

L'attempato commesso viaggiatore non avrebbe facilmente dimenticato quel viaggio.
Come una donna di facili costumi si concede a molti uomini, erano circa venti anni che la sua giacca si stazzonava in un lussurioso sfruculiamento con i sedili di numerosi pullman sulle articolate e a tratti artistiche tratte stradali ed autostradali isolane.
E di gente strana ne aveva incontrata, con alcuni di questi era pure diventato amico dopo che gli avevano offerto abbondante pane e tumazzo.
Ma difficilmente avrebbe dimenticato la potente scena hollywoodiana di quel corpulento trentino-quarantino che, all'imbocco della rotonda di via Oreto, dal fondo del prummann riuscì ad attirare l'attenzione del conducente, circa 30 file più avanti, nel momento in cui esplose una sorta di rosario laico e vagamente blasfemo, in cui svariate invocazioni di santi, madonne, e ricorrenze varie si accompagnavano ad un florilegio di termini semicolti a metà tra la micologia e l'ornitologia, il cui senso non lasciava àdito a dubbi.
L'originale articolazione verbale delle espressioni di disappunto del Dottore Horus per il gran ritardo dava l'impressione di una sorta di canto sacro-erotico di epoca greco-classica, in cui evidenti richiami fallici si mischiavano ad espressioni sacrali.
Il commesso viaggiatore avrebbe giurato di aver pure udito lo scatto di una fotocamera provenire dalla fila davanti, dove una splendida turista tedesca poco prima sonnecchiava incurante delle proprie cosce al vento.
"I cutò ti stricano suitta l'archiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!". La risposta di Collas non si fece attendere :"Hai cchiù cuoinna tu che un panaro di vavvaluceeeeeeeeee, cosa inutileeeeeeeee e intamatoooooooooooooo!". Gustandosi ad occhi semisocchiusi il tanghino che placidamente gracchiava dall'autoradio, Collas ridacchiava sotto i baffi complimentandosi con sè stessa per come aveva rintuzzato quell'automobilista cafone.
Certo, pensava tra sè e sè, in effetti stare ferma in sesta fila ad aspettare l'arrivo del prummann da Catania non era il massimo di beneficio per la circolazione locale.
Quando vide arrivare l'imponente sagoma rossa del prummann (gli venne da pensare alla notoria megalomania dei catanesi, che tentavano di spacciare per una rombante ferrari il placido mastodonte della Sais), tirò un sospiro di sollievo, elevando mentalmente un pensiero di ringraziamento a Santa Rosalia Piazzolla per la scampata multa.
Appena scesa la scaletta, il Dottore Horus s'addrumò immediatamente una sucaretta, non mancando di scaricare l'ultima litania di santioni ornitologici (come se fosse una specie di grottesco san francesco pagano) questa volta all'indirizzo dell'Anas, del Governo regionale, del Presidente della Repubblica e del Segretario delle Nazioni Unite.
Con la prontezza di spirito di chi sta per evitare una catastrofe, Collas si precipitò su quel surreale San Francesco pagano e fumante (con notevole disappunto di un barbone che dimorava sul marciapede e che stava seguendo la conferenza di Horus con notevole interesse, annuendo visibilmente soddisfatto e accingendosi ad applaudirlo) e lo attirò in macchina con la scusa che si era fatto tardissimo, prima che il Dottore facesse partire davanti a tutti il lato B del disco e iniziasse a pontificare pubblicamente di pericolose nostalgie politiche e di bei tempi che furono.
Nel privato della macchina imbottigliata nel traffico, Collas si trovò a fronteggiare una lunga ed impegnativa prolusione sulla puntualità dei treni in altri tempi, che riuscì prontamente a troncare con un colpo di genio di finissima fattura.
"Dottore dottore! U vulissi bello rollò per rinfrancarsi del lungo viaggio? Facciamo un salto al max living che li fanno belli!"
D'un tratto, adunate oceaniche e Alpi e Piramidi sparirono improvvisamente, e un sorrisone da Dalai Lama si stampò sul musso del Dottore.
"Buono è, ma io ci avissi miso un poco di piccante in più" fu l'unica frase che nell'arco di alcuni minuti Collas sentì pronunciare da un fanciullesco Horus con la bocca a sacco e gli occhi a pampinedda, beatamente impegnato nell'impresa di rifocillarsi.
Collas non si stupì, tutti sapevano che il Dottore avissi miso il patè di peperoncino pure nel caffè della mattina.
Aspettò pazientemente che Horus trangugiasse ciò che miseramente rimaneva del glorioso rollò che poco prima campeggiava orgoglioso in vetrina manco fosse Miss Italia. Quella scena procurò a Collas alcune elevate riflessioni esistenziali sulla caducità della dimensione terrena e sulla Ruota della Vita: per quanto potesse essere potente ed ammirato un Rollò, pensava Collas, prima o poi sarebbe arrivato un qualche Horus da qualche parte a fargli fare quella fine mischina e miserabile.
"Collas, dobbiamo metterci sulle tracce del punteruolo: se i suoi ex compagni di cumarca gli mettono le zampe addosso, manco le ali troviamo più"
"Dottori, l'ultima volta fu visto che si aggirava alla fiera del mediterraneo: pare che una vintina bionda e alta, una noddica fuoisse, gli abbia portato un boizzello con effetti personali. I nostri agenti da questo hanno dedotto che il coleottero stesse meditando una fuga"
Un lampo di improvviso interesse balenò negli occhi del Dottore alla citazione della noddica vintina.
"Collas, ragioniamo. Se lei fosse un punteruolo rosso alla fiera del mediterraneo, in procinto di scapparsene da qualche parte, dove si dirigerebbe?"
Collas sovrappensiero iniziò a riflettere, e sempre sovrappensiero cercò di immedesimarsi nella mente del coleottero galeotto.
Iniziò quindi a percorrere avanti ed indietro, pensierosa, la saletta del locale.
Il Dottore conosceva la bravura investigativa di Manuela Collas, l'unica persona al mondo che, grazie alle proprie doti intuitive, era riuscita ad attirare in un tranello e documentare fotograficamente quell'accidente di insetto della malanova che stava facendo impoazzire tutti.
Se la foto di quel delinquente malacainne oggi si trovava negli archivi dell'Interpol e dell'FBI, era tutto merito di Collas.
Horus era abituato alle genialate di Collas, ma questa volta rimase totalmente di stucco nel vedere una scena a dir poco allucinante.
Senza accorgersene, Collas aveva chiuso le mani dietro la schiena tipo papera, come fossero delle ali riposte, e aveva iniziato a camminare a scatti con repentini cambi di direzione.
Si era totalmente immedesimata nel punteruolo, e il Dottore guardò con una certa preoccupazione una palmetta ornamentale posta lì accanto.
Si sentì un rumore di vetro rotto, e Horus, senza osare minimamente voltarsi poichè totalmente paralizzato, mentalmente immaginò il barista che aveva appena lasciato cadere il bicchiere a terra mentre guardava stralunato quella scena.
"Dottori Dottori! Ci sono! Il punteruolo non può che essere fuggito sul lato nord-ovest di Monte Pellegrino! E' lì che dobbiamo cercare!"
"Santa minchia del mongrovejo, Collas! Ragione ha!"
Mentre i due uscivano dal bar, il Dottore non potè trattenersi dall'accarezzare una pampina della palmaredda, incredulo che fosse intatta ed ancora al suo posto.