"No time, no space, another race of vibrations..." Una dimensione parallela, in cui il tempo cessa di scorrere e lo spazio non ha più alcun significato. In realtà, nulla ha un significato proprio, oltre quello che noi gli attribuiamo o che crediamo di conoscere. Sono Horus Der Wanderer, e sulla rotta tracciata dagli occhi di smeraldo dell'antico Gabbiano, scivolando sull'onice del Cielo e proseguendo oltre le miniere d'argento della settima Luna, Iside mi svelò la via della costellazione mitologica ove adesso vago. Molti ho incontrato sul mio cammino, che avevano smarrito la propria via o semplicemente ne cercavano una nuova. Io sono colui che accompagna attraverso i varchi dell'Esistenza. Benvenuti alle Porte di Orione. Horus il Viandante.
Buonasera a chi mi leggerà.Per circa due anni, sono stato presente sul social network Netlog.In successione cronologica, i miei profili più importanti sono stati due: Cafè de la Paix, rimasto attivo dal luglio 2007 al maggio 2008, e Le Seagull Magique, in attività dal maggio 2008 al novembre dello stesso anno.In verità ve ne fu anche un terzo, Orion Gates, aperto nel novembre del 2008 ma mai entrato in attività.Lo trasferisco qui, aprendo il mio nuovo capitolo.A dire il vero, la mia personale concezione del blog mi porta ad aprire non tanto dei profili personali di me stesso (cosa che non ritengo utile), ma delle vere e proprie piazze, dei luoghi di ritrovo e discussione.Quanto a Cafè, ad esempio, quando ho creato quel piccolo eden di pura follia, era mio desiderio ispirarmi in spirito al vero Cafè parigino, luogo di ritrovo di menti elette ed illuminate (e perciò inevitabilmente folli), ma agivo anche sull'onda dell'emozione di un passo di "Cafè de la Paix" di Franco Battiato, che sembra dipingermi perfettamente: "...quando fui donna o prete di campagna, un mercenario o un padre di famiglia..."Il Seagull Magique (il gabbiano magico) era volutamente ispirato, come il precedente Cafè de la Paix, ad una canzone di Franco Battiato, cioè "summer on a solitary beach". Mentre il Cafè omonimo esiste realmente e si trova a Parigi, ed é un luogo reale di incontro di menti vaganti (così come voleva essere il mio Cafè), avevo concepito il Grand Hotel Seagull Magique come un luogo mitico, che non esiste da nessuna parte ed esiste dappertutto al tempo stesso. I due profili comprendevano, complessivamente, circa 130 post sui rispettivi blog, più svariate decine di foto di vario genere, e all'incirca una cinquantina di amicizie-contatti. Peraltro, il Seagull Magique contiene una memoria per me molto importante, ovvero il post che dedicai a mio padre la notte del 20 agosto, notte in cui fu chiamato in Cielo. Successivamente, vicende personali di varia natura e, sostanzialmente, il totale snaturamento dello spirito di queil network mi hanno condotto ad abbandonare quella realtà in cui non mi ritrovavo più ed in cui non avevo più nulla da dire.Eliminati gli adolescenziali myspace, i figaioli badoo e gli sterili facebook, ho pensato che qui avrei potuto esprimermi liberamente. Inizierò col riportare qui di seguito quelli che, a mio avviso, sono i post meglio riusciti dei miei due vecchi profili, come una sorta di antologia personale. I blog sono riportati in successione cronologica inversa, partendo dall'ultimo (l'unico post che ho pubblicato sull'Orion di Netlog) per giungere via via, attraverso il blog di Seagull Magique, sino ai più vecchi messaggi pubblicati sul Cafè de la Paix. A voi il giudizio.Il vostro Horus
pubblicato su Orion Gates (Netlog), 6 dicembre 2008
I giocolieri di strada sono dei folli perfettamente lucidi, che riescono a vedere il reale colore della vita. Sono dei folli privilegiati, privilegiati per il fatto di non essere illuminati da alcuna luce, nè di essere loro stessi portatori di luce. Loro sono i signori dell'intero spettro di colori. A lungo mi sono chiesto dove fossero finiti i colori della vita, sin da quando, ad un certo punto del mio percorso, il mondo attorno a me iniziò a tingersi di grigio e di quotidianità. Come se la scheda video del monitor della mia anima stesse iniziando a sballare...a poco a poco il colore iniziava a spegnersi a macchia di leopardo, sostituito da tessere di mosaico di non-colore grigio. Fu allora che iniziai a chiedermi: ma i colori, quando muoiono, dove vanno? Chi li raccoglie? Cadono forse come le stelle da qualche parte? E i sorrisi? I sorrisi dove vanno quando si spengono? Vengono raccolti dai giocolieri, che li intessono in forme nuove ed arlecchinesche e gli danno nuova vita, come se loro fossero gli angeli custodi del paradiso dei colori e dei sorrisi del mondo. Ricordo che era notte e faceva freddo, forse nevicava, in uno strano quartiere iperfuturista di quella grande città straniera e lontana. Mi piaceva vedermi vestito con pantaloni di mille colori ed una lunga giacca nera sdrucita, ed un austero capello a cilindro anche quello nero, quasi a voler assumere un'aria di giocosa serietà. E come volteggiavano bene in aria le mie palline colorate, ma chissà dove e quando avevo imparato ad essere così bravo! Io, che al massimo mi diverto a far volteggiare per aria un paio di arance ogni tanto... C'era silenzio assoluto, c'era solo il suono di quei mille colori. Insieme a me, poi, c'era una donna che non avevo mai visto e che non avrei mai più rivisto nella mia vita: Nostra Signora dei colori, l'avrei chiamata. Male in arnese peggio di me, questa ragazza clochard era tutta la mia platea in quella fredda e buia notte dell'inverno parigino, e mi applaudiva divertita. Iniziai anche a fare il mimo, con tutta una serie di faccine e mossette degne del miglior Michel Marceau...che strano contrasto, Arlecchino nella terra di Pierrot, come se gli avessi rubato la scena. Se in quel momento mi avessero chiesto da quanto tempo stavo in strada, avrei risposto senza esitazione "da una vita"... Di quella notte, ricordo con assoluta chiarezza il più totale silenzio...nessuno parlava, solo i colori parlavano. Poi, qualcosa di stranamente stupendo accadde...iniziammo a danzare una specie di valzer muto, improvvisando passi che nessuno dei due conosceva. A vederci, si sarebbe detto che eravamo la reclame della spensieratezza: due arlecchini semiseri, che sembravano usciti dritti di filato da un testo di Dario Fo o forse da un film di Fellini...con le pezze al culo, la Vita ci aveva eletti suoi ambasciatori inconsapevoli. E ricordo anche che, mentre volteggiavamo in questa estemporanea danza, all'improvviso non ho più sentito il pavimento sotto i piedi...una botola, forse. Ma non quadrava una cosa: anzichè essere scesi, eravamo saliti. Eh sì: perchè non ci eravamo accorti che stavamo già volteggiando per aria, come dei trapezisti senza funi nè trapezi. Avete presente il moto browniano? ecco, sostituite alle molecole due macchie di colore perse nel buio della notte. Stessa scena. Ricordo che quel pomeriggio, quando mi svegliai all'improvviso, non potei trattenere il pianto. Era giugno inoltrato. Era talmente lucido, quel sogno, che quando mi svegliai pensai di essermi addormentato di botto nella notte di Parigi e di avere iniziato in quel preciso momento, a sognare. Avevo stampato il viso di Nostra Signora dei colori in mente, e piangevo implorandola di tornare. Sentivo ancora il freddo della notte parigina, e piangevo. Pensavo ai miei colori, e piangevo. A lungo mi domandai: perchè una cosa tanto crudele? perchè svelarmi la mia anima, per poi nascondermela di nuovo? A lungo, ripensai a quel sogno. A lungo mi domandai chi fosse Nostra Signora dei colori. A lungo sono stato convinto che quello non fosse solo un sogno, e tuttora ne sono convinto. Anche adesso, che ho il cuore gonfio di malinconia nelle mie sere invernali. Che mi mancano i miei colori. Che mi mancano i miei sorrisi. Che tutto si spegne attorno a me lentamente. Ma cosa volete che vi dica, del resto...io sono solo un giocoliere.
(pubblicato su Le Seagull Magique, 20 agosto 2008) Abbiamo combattuto insieme fianco a fianco...siamo caduti con onore sul campo, da valorosi uomini tutti d'un pezzo come siamo sempre stati e come tu mi hai insegnato ad essere. Devo a te ciò che sono, e non sono parole di vuota retorica: la retorica, nè a me nè a te é mai piaciuta. Tante ne abbiamo viste insieme, ma tante veramente. Hai lottato come un leone, come un eroe fino all'ultimo. Io ne sarò testimone a vita, io raccoglierò la tua eredità. Ora hai diritto al tuo riposo da grande, mio adorato Generale...la tua vita prosegue in me, e la porterò alta come una bandiera. Ci rivedremo fra qualche anno, io son sereno...lasciami il tempo di sbrigare le solite fesserie che chiamiamo vita qui sulla Terra...e poi verrò a cucinarti la tua adorata pasta con le zucchine fritte, obbrobbrio che solo tu riuscivi a mangiare. E' stato strano, come si siano invertiti i ruoli....da padre, sei diventato mio figlio...e come tale ho cercato di accudirti fino al momento estremo. Vai tranquillo, Grande Padre Gabbiano, hai spiccato il tuo volo e ora finalmente ti libri nel cielo azzurro...io resterò quaggiù a guardarti anche se non ti vedrò. Non importa, ti immaginerò... So che l'elegia funebre ti darebbe fastidio, e mi fermo qui. Addio, mio Grande Gabbiano...addio, mio amato Generale...addio.
* * *
Il 20 agosto 2008, alle ore 02,00 circa, mio Padre é stato elevato all'Immensità. Luce sul suo cammino.
Una sottile brezza si levava dal mare notturno, facendo ondeggiare lentamente le fronde delle palme illuminate da qualche lumino posto a terra. La fiamma svolazzava lenta e pigra, mentre le ampie tende bianche si gonfiavano nell'oscurità di una notte priva di luna ma piena di stelle. Sembrava quasi si muovessero all'unisono con la risacca del mare poco vicino. Nel buio si intravedevano le alte scogliere. Un tavolino di vimini nella veranda sulla spiaggia...e sopra un cocktail ben ghiacciato. Dopo il tramonto, ci si aspetterebbe di essere consolati dalla luce diafana della Luna. Ma a volte, ci sono tramonti non seguiti da alcuna Luna. Non certo per questo, il cielo é nero e incombente....basta alzare lo sguardo in una notte d'estate, e vedere l'abbraccio trasognato di miliardi di stelle. Quando l'occhio si é ben abituato all'oscurità, riesce a vedere molte più stelle di un'occhio bruciato dall'effimero lampeggiare di astri cadenti. Passeggiando per la spiaggia bianca, sicuri del proprio cammino, é bello alzare lo sguardo verso tutte quelle stelle...le orecchie cullate dalle carezze del mare. Si dice che la luce della stelle arrivi a noi con un ritardo enorme...vediamo oggi ciò che ha brillato una quantità infinita di tempo fa. Ogni stella di questa meravigliosa notte é un ricordo, un affetto, una persona cara che ha smesso oramai di brillare. Nel mio cielo, ogni stella diventa un sorriso, un volto, un bacio, un abbraccio, una carezza stanotte. Tutti diversi tra loro. Brilla per qualche minuto, poi sparisce....e subito se ne accende un'altra...e altre, altre ancora... Alcune sono così lontane, che mi appare il solo volto senza che io riesca a ricordarmi per quale motivo essa splenda ancora...ma ci sono tutte. Quante volte le ho contate quelle stelle..perchè le stelle del mare non si dimenticano, una volta che si sono impresse nel cielo della tua anima. Forse anche io sono una stella che in questo momento sta brillando nel cielo dei ricordi di chissà chi.... Forse siamo tutti delle stelle, e in questo momento ci stiamo guardando col naso per aria. Ora sono solo seduto in riva al mare in una notte senza luna, e guardo il riflesso delle stelle sull'acqua davanti a me.
(pubblicato su Le Seagull Magique, 25 giugno 2008)
Potenza di maestà antica, crocevia dei mondi. Ma é più profondo sedersi e contemplare, a volte, quando il mare urla e ingaggia lotta di aggressione con la pietra. E la pietra, ingaggia lotta di resistenza col mare. Io vivo in un luogo di pietra nera, fuoco rosso e mare azzurro...a volte distinti e netti, a volte amalgamati in un'iride che sembra essere uscita dalle fornaci dell'Universo, come se l'ignoto Architetto avesse voluto lasciare un cameo, una piccola testimonianza, una miniatura dei colori che si sprigionavano durante il parto dell'Essere dal Divenire. Mare, potenza dinamica e furia della distruzione creativa: esso massacra, sminuzza, pialla e lima...e forgia, come un antico fabbro universale senza forma nè volto. Pietra lavica, potenza statica e immutabilità della creazione distruttiva: essa ricopre e fissa nell'effimera eternità delle generazioni umane. Due amanti che amorevolmente si compenetrano con la furia della distruzione, quando avanguardie di pietra lavica si ergono solitarie in mezzo al mare, avamposti silenziosi e muti di una dimensione antica ed eterna, e quando braccia impudiche di mare avvolgono gli anfratti della pietra, come tentacoli portatori di vita nella fissa staticità del nero antico. In principio era uno, e anche i due amanti erano uno: il fuoco della lava, primordiale amalgama che riassume in sè il padre Mare e la madre Pietra. Meraviglia, ma non stupore. Sono pietra e mare anche io, dentro le mie vene fuoco lavico. E dalle pietre laviche che emergono dal mare, canti ammalianti di sirene.
(pubblicato su Le Seagull Magique, 31 maggio 2008)
Potrebbe essere solo un'illusione. Solo un'illusione. Tutto infinitamente piccolo, agli occhi superiori...noi non li possiamo vedere, perchè guardiamo avanti a noi e non sopra di noi. Loro vedono noi...schegge di luce su autostrade infinite di energia pura, invisibile. Grattacieli di silicio, che ai nostro occhi prendono forma e colore di cemento e vetro. Crediamo di essere, perchè così siamo stati programmati. Per credere di essere, non per essere. E' un gioco...vivere nel gioco della realtà potrebbe essere divertente, creativo, produttivo. E' molto più seria l'irrealtà. Non é altrettanto divertente, ma é produttiva: é l'irreale che crea la realtà, in fin dei conti. Vagare, quindi, alla ricerca dell'irreale potrebbe essere l'autostrada primaria del sistema operativo. Ma vi rendete conto? Arrivare alla Thule e scoprire che é quella l'unica realtà. Che tutto ciò che credevo realtà non esiste, che io stesso non esisto se non in quella Thule. Una variabile, una stringa, un dato...una cascata vorticosa di numeri in progressione geometrica casuale, un frattale dell'Universo. Già...e l'Universo? Un frattale anche quello? Tutta la cosmogonìa potrebbe essere una sequenza casuale, allora. Passeggiate in un bosco d'autunno, chinatevi e raccogliete una foglia....vedrete lì, l'illusione della realtà. La foglia é perfettamente simmetrica...due parti esattamente speculari, divise da una nervatura centrale, un minuscolo bonsai del perfetto ordine universale. Adesso, osservate ancora più attentamente la foglia....guardate controluce, in ciascuna delle due metà. Vedrete una serie impazzita e caotica di piccole nervature, che irradiano l'interno della foglia. Qelli sono i vasi linfatici, da lì passa il nutrimento che permette a quella foglia di vivere...essi seguono un ordine casuale, e quindi un non-ordine. Un disordine, un caos, un caso.... La vita é caso, dunque...dal kaos l'esistenza, l'essenza. Mi rinchiudo a guardare il disordine. Esso é vita. E dunque....l'ordine logico? la ragione? é illusione....é irreale che si spaccia per reale. L'istinto caotico della bestia?...la Thule, la realtà fantastica. E allora...la realtà? come può essere fantasia? Non lo può essere...semplicemente, la realtà non esiste se non come registro di sistema. Un semplice insieme di dati in sequenza casuale, che scorrono sullo schermo di un computer davanti ad occhi invisibili. Io ho liberato la mia bestia, intanto. Corre come una saetta, ha fiutato la pista. Io, ho fiutato la pista. Io, sono la mia bestia. Io. Sono. Nel 2097, incontreremo lo psicologo della Okosama Star. Potremo parlare....potremo ricominciare...
(pubblicato su Le Seagull Magique, 31 maggio 2008)
Erano arrivati nell'isoletta bianca persa in mezzo all'azzurro intenso del Mediterraneo, quell'azzurro tipico delle mattinate di giugno, cariche di venticello e di profumi. In fin dei conti, per alcuni erano colori, odori e sensazioni identiche a quelle di casa....anche se da casa erano lontani. Scesi dalla nave grigia, si apprestavano a compiere una missione di cui loro stessi non avevano ancora chiari limiti e contenuti. Inizialmente, pensavano di dover conquistare, li avevano mandati per questo....ma alla fine, non conquistarono altro che sè stessi...e fu la conquista più importante della propria vita, aver riconquistato la propria vita. Essersi ritrovati proprio nel momento in cui si é perduti e abbandonati a sè stessi....quando non puoi fare altro affidamento che su te stesso, quando la tua radio é rotta e non puoi comunicare con nessuno. E allora ti siedi, e osservi il mare davanti a te...un mare antico, antico quanto il tuo. E a poco a poco, riemergi...come se tu stesso fossi stato troppo a lungo sotto quell'acqua davanti a te. Riemergi e guardi il bianco accecante delle scogliere calcaree...ed é in quel momento, vedendola da riva, che ti accorgi che quell'acqua era azzurra e limpida, e non nera e opprimente come ti era sembrato quando ti sei svegliato là sotto. Hai finalmente aperto gli occhi, hai visto un barlume di luce sopra di te....a poco a poco hai iniziato a muovere le braccia per risalire...e sei riemerso. Una grande boccata d'aria, quell'aria di giugno mediterraneo...e ora sei seduto sullo scoglio bianco, giocando con una stoppia di grano in bocca...e riempi i tuoi occhi di quel bianco e di quel meraviglioso azzurro. Accanto a te, il tuo vecchio fucile ormai esausto e l'elmetto...poggiati lì, per terra. Un giorno, fra tanti anni, verranno ritrovati proprio dove tu li hai lasciati lì quella mattina. Nessuno li ha più toccati, da allora. Del resto, non servivano più a niente e a nessuno...non c'è nessuna guerra da combattere, nessun nemico da abbattere, lì dove sei adesso. Che le abbiamo portate a fare, tutte 'ste cose? Qui ci sono solo bambini che giocano festanti e donne che ricamano, sedute sull'uscio di tante casette. C'erano fin da quando sei arrivato...solo che non te ne sei mai accorto, stavi lì di sentinella, sempre sul chi va là, notte e giorno, con l'elmetto calato sulla fronte ed il fucile imbracciato e carico...aspettando un avversario che non sarebbe mai arrivato, un colpo di mitragliatrice che non sarebbe mai stato sparato. La bandiera sventolante ed austera che avevi issato sul fortino, quando sei arrivato, é ancora lì che garrisce al vento...ma ormai é sfrangiata e scolorita dal sole....la riconosci, é sempre la tua...ma la lasci lì dov'è. Ti ricorda che sei e chi sei stato, e vuoi che anche lei goda di questi odori e di questa atmosfera. Perchè ripiegarla? cosa ci farebbe, ad ammuffire in un cassetto?... Poi, a poco a poco, anche la tua vecchia divisa viene meno....ora stai diventando tuttuno con la nuova terra...indossi un paio di pantaloni che ti ha dato un vecchio del posto, e balli la sera con loro, le loro danze. Giochi con quei bambini, come se fossero dei tuoi figli ritrovati. E quando arriva il tramonto, i tuoi occhi si riempiono dell'amaranto carico del sole che scende sul mare. Ti commuovi, pensando al velo che é caduto ed a quanto tempo ci é voluto. Pensi a casa tua, e ti manca....ma poi ti accorgi che tu, da casa, non ti sei per nulla allontanato. Ci sei semplicemente ritornato, l'hai ritrovata.... Ora la Luna sta sorgendo, e si specchia sul mare mentre le barchette dei pescatori lasciano il porticciolo...e ti abbandoni al profumo inebriante dei cespugli di rosmarino.
(pubblicato su Le Seagull Magique, 29 maggio 2008)
La Luna é tramontata, non la vedo ma veglia su di me... Ho alzato forte il mio urlo verso di Lei, e Lei mi ha ascoltato, lo ha ascoltato. La notte sta passando, si intravede l'Aurora. A lungo, sono rimasto a giacere nella neve, a vedere il mio sangue colorare di rosso il bianco sotto di me... ma ora...ora che le ferite si rimarginano, le forze tornano, tornano lentamente... E' l'Aurora...si intravede lontana nella coltre buia sopra di me, che ora declina all'alabastro. Non mi posso vedere, ma sento che i miei occhi cambiano colore, e fra un pò si confonderanno con quello del cielo, e il colore del cielo si confonderà con quello dei miei occhi...finchè diventeranno tuttuno. Alzo stanco la testa...vedo il respiro che, nell'uscire dalle mie narici, si tramuta in vapore a contatto col gelo che mi attornia. Molto tempo, sono stato rintanato dentro una grotta buia e umida, di notte, mentre fuori nevicava...ero oppresso, stordito, confuso e stanco... Ad un certo punto, iniziai anche a temere la solitudine...era segno che non mi ricordavo più nulla, di me. Mi ero perso, e non ricordavo più nulla....ero caduto nell'oblio, come vittima di sortilegio. Non riconoscevo la grotta, non riconoscevo le foreste nè gli alberi, non vedevo la Luna e non sentivo nemmeno il mio stesso urlo... L'Aurora sta avanzando...l'aria si è fermata, tutto tace come ovattato..già si distinguono i contorni degli alberi...inizio a riconoscerli di nuovo. Inizio a ricordarmi di me...inizia a sovvenirmi qualcosa....aria sul mio volto, molta aria...battiti veloci e regolari dei miei passi nella corsa....sì, ricordo, ora ricordo! NOn so cosa sia successo...adesso sono in piedi, e sto guardando davanti a me. Sull'uscio della grotta, e vedo....vedo l'Alba! Ormai é l'Alba! Un passo, poi l'altro...sembra che le ferite non facciano più male...un passo, ancora uno, e un altro...finchè iniziano a susseguirsi velocissimi....e...corro! Adesso sto correndo! Ecco quel flebile ricordo, ora é attualità di nuovo! L'aria gelida del mattino mi investe il volto di nuovo, nel silenzio antico e mistico delle cime innevate, risuonano solo i battiti sordi della mia corsa! Sfreccio, sfreccio tra alberi e cespugli, come impazzito e senza più controllo, finchè arrivo ad una roccia sospesa nel vuoto, e lancio il più potente urlo che io mi ricordi di aver mai fatto...l'eco dura a lungo! Lontano, un'aquila vola...e il fratello Orso mi guarda con amorevole gioia. Forse si aspettava che da un momento all'altro sarei tornato. Riprendo di nuovo a correre....e passo accanto ad uno specchio d'acqua gelata. Mentre corro, alla luce oramai del mattino, vedo la mia sagoma riflessa nell'acqua ghiacciata: non ricordavo di essere così....bianco, scattante...e libero! Ora....ora finalmente ricordo chi sono! Sono tornato, sono tornato a me stesso.
(pubblicato su Le Seagull Magique, 23 maggio 2008)
Da che nascono i malesseri? Malesseri.....questa se ne é andata, quello mi manca etc etc. Bene, e da che nasce il malessere? risaliamo ancora più alla fonte: io amo fare trekking nella Natura, e quindi andare a vedere le cascate é per me uno spettacolo sempre commovente. E, soprattutto, produttivo. Il malessere nasce da un bisogno non soddisfatto: per raggiungere un determinato target di benessere, che mi renda sereno e felice, io ho bisogno di determinate cose. Per vivere, ho bisogno di proteine, carboidrati, vitamine e così via dicendo. In assenza di questi elementi, scatta il malessere che fonda il bisogno, ovvero quello stato di non equilibrio che spinge alla ricerca degli elementi che permettano il ripristino dello stato di benessere, ovvero di equilibrio. In cosa differisce, dunque, il bisogno dal desiderio? Il bisogno si configura tutte quelle volte in cui un livello minimo deve essere ancora raggiunto (si é "in riserva", in altri termini), mentre il desiderio, all'opposto, presuppone che quel livello sia già raggiunto e consolidato, e lo si voglia solo....come dire...."migliorare". Insomma, come costruire un attico su un palazzo già esistente. Il bisogno, o necessità, fonda quindi una spinta compulsiva. Il desiderio, una spinta deliberativa, basata solo su un atto di volontà cosciente. Altro é dire "ho bisogno di mangiare", altro é dire "desidero mangiare una torta Sacher". Il bisogno di mangiare una torta Sacher é una devianza mentale patologica. Mentre un bisogno insoddisfatto genera vero e proprio malessere, un desiderio insoddisfatto può generare, al più, fastidio e basta. Ti ci incazzi, ma non ci stai certo male. Da cosa nascono, dunque, i miei malesseri? per logica, dovrei dire da bisogni insoddisfatti. Tuttavia, se risalgo dal malessere attuale al bisogno presupposto, trovo qualcosa di interessante e preoccupante al tempo stesso. Buttiamola sul piano sentimentale, giusto per capirci. A tutti é capitato di avere delle delusioni sentimentali (dire "d'amore" é parola troppo grossa e soprattutto inflazionata. Siccome io sono un snob di merda, non voglio confondermi col popolo bue). Bene, si prova molto malessere: é il malessere della privazione, é il malessere della prospettiva che va a nigeriane, etc etc. Andiamo alla radice. Se Tizia mi fa una vaccata e sparisce dalla mia vita, io provo malessere (o almeno dovrei, giusto per rispettare la tradizione. Ci sono casi in cui sarebbe opportuno stappare un paio di Moet Chandon). Iniziamo il giochetto malessere ----> bisogno. La domanda é: se io provo malessere perchè Tizia se ne va, ciò vuol dire che io ho bisogno di Tizia? La risposta dovrebbe essere sì, per logica. E a questo punto, le possibili soluzioni al busillis son due. O la logica é morta sotto la scure impietosa di Jean Paul Sartre, o noi abbiamo clamorosamente fallito un presupposto. Posto che Sartre é giunto a sostenere (anticipando Matrix) che noi nemmeno esistiamo se non come pura illusione ottica, io propenderei per la seconda. Anche se lo vorrei, non credo affatto che la mia panza sia un'illusione ottica. Augurando ogni bene a Tizia, l'esempio può essere riferito a qualsiasi aspetto della vita...lavoro, famiglia, etc etc. Da cosa nascono questi "bisogni"? Se Tizia fino a tre mesi prima nemmeno esisteva nella mia vita, come é possibile che adesso essa configuri bisogno? Perchè la nostra mente é andata in palla, ecco perchè. Noi stessi siamo stati gli artefici di un bisogno che in realtà non esiste, e come siamo stati gli artefici del nostro bisogno, siamo stati parimenti gli artefici del nostro conseguente malessere. Torniamo indietro: io ho bisogno oggettivamente di Tizia? Oggettivamente, no. Vivo, mangio, bevo, cago senza Tizia...e quindi? Quindi mi son fottuto con le mie stesse mani, tutto qui (torno a dire, riferisco a me l'esempio per comodità. Non ho il piacere di conoscere Tizia). Io NON ho bisogno di Tizia, poichè io sono io, sono sempre stato e sempre sarò io, a prescindere da Tizia. Ergo, il mio malessere non ha motivo di esistere. Dal pensiero, occorre poi passare all'azione. Quando noi creiamo un bisogno fittizio, apriamo una falla nel sistema. In pratica, un pezzettino del nostro Essere, viene sostituito dal bisogno. Questo é molto pericoloso, perchè quel pezzettino di noi, colonizzato dal bisogno, si tramuta in una sorta di porta aperta a senso unico....col bisogno, da noi esce tutto e non entra nulla: disperdiamo da quella falla molte delle nostre energie, ed entriamo in una spirale perversa in cui non facciamo altro che moltiplicare progressivamente i bisogni fittizi, in progressione geometrica. Il bisogno di Tizia, la cui assenza mi provoca malessere, mi spingerà a creare il bisogno di Caia, che supplirà alla mancanza di Tizia, e quando Caia se ne andrà, soffrirò del doppio malessere Tizia-Caia che mi spingerà a creare un terzo bisogno in cui cercherò una Sempronia etc etc. E le falle di sistema si moltiplicheranno come metastasi. Devo solo riprendere me stesso nella propria interezza, e così abbatterò il bisogno fittizio che io stesso ho creato. Attenzione, abbatterò il bisogno, e non mi limiterò soltanto ad abbattere il malessere tipo trattamento sintomatico con l'Imodium. Qui si va giù di brutto con gli antibiotici, con buona pace di Tizia, Caia, Sempronia e parentado vario. Turo quella falla e procedo col mio IO e col mio essere di nuovo integro e sano. Indubbiamente, la mia é una ricostruzione che solleverà le vibranti proteste delle case discografiche italiane e dei manager dei vari cantautori così encomiabilmente impegnati nel cantare il mal d'amore. Certo, disse una grande verità il saggio uomo che, allorquando l'ineffabile Nek ci informò che "Laura non c'è", rispose "e chi se ne frega". Tuttavia, io non sono uno psicologo e quello che avete letto qui sinora sono solo emerite cagate. Vado a farmi un caffè, che ne ho davvero bisogno, mentre ancora mi domando che diavolo ci avrebbe fatto Diogene alla guida di una Porsche.
Seduto per la spossatezza del lungo viaggio, osservo e rifletto sulle vestigia dei sacrifici al Moloch. Vi era un tempo, in Cartagine, in cui la nostra potenza correva per mari e per dune, e di fronte a noi ori e alabastri. Erano notti di lampade di terracotta ad olio e profumi orientali, al suono di cetra e di Mediterraneo. Il suono del Mediterraneo....culla e carezza, orrore e schiavitù, orizzonte infinito e prigione abissale. L'Azzurro dello sguardo di Poseidone ed il Piombo di quello di Ade...entrambi ci lambivano, ed entrambi erano la nostra forza. Dietro di noi, il rosso intenso delle dune sabbiose, come fuoco che si contrapponeva al mare. Ma l'Aquila è forte....e non fummo più noi. Delenda Carthago. Deleta Carthago. Strana sorte....noi figli degli Atlantidei, abbiamo ripercorso la parabola dei padri. Ora la cetra é persa tra la sabbia, é diventata sabbia essa stessa. Gli ori e gli alabastri sono lontani, perduti per sempre e sparsi per le terre del mondo. Nessuno saprà che provenivano da Cartagine, perchè nessuno si ricorderà più dell'esistenza di Cartagine. Il silenzio soffia tra i tronconi delle colonne bruciate, un tempo alte. Le stelle illuminano un paesaggio lunare....no. I fantasmi sfilano nel silenzio tombale delle urla dei mercanti e delle voci stentoree degli attori. Io osservo tutto e sento tutto, con estrema chiarezza: vedo ogni sfumatura del nulla e ascolto la chiarezza di ogni sillaba del silenzio. La nostra temibile flotta é all'ancora, perfettamente compatta, laggiù nell'abisso. Le nostre armate sono all'erta e aqquartierate nella sabbia che le ricopre. Lo nostra forza é ben presente e molto temuta dai fantasmi. No. Con lo sguardo percorro il deserto....delle figure compaiono all'orizzonte, viandanti sperduti che attraversano ciò che rimane dell'antica Porta orientale....camminano incerti, lo sguardo perso nel vuoto....io li seguo con gli occhi. Chissà da dove vengono, quando son partiti, e come hanno fatto a giungere in un luogo che non esiste più. Quale mano...quale mano, quale beffarda mano li guida in un posto che non c'è più? perchè li porta qui, dove non c'è più nulla per nessuno? Ricorderò in particolare una di queste figure, negli anni che mi rimangono. Si girò e mi chiese chi fossi. Io le risposi che ero un filosofo seduto sulle rovine di Cartagine. E lei mi chiese cosa fosse Cartagine, dato che non ne aveva mai sentito parlare e non la vedeva da nessuna parte. E fu in quel momento, che mi accorsi che io non esistevo. L'ultimo ricordo, mentre svanivo, é quello di alcuni granelli di sabbia che, trasportati dal vento, si andavano a posare sul capitello dove poco prima ero seduto io.
"se avremo ancora un pò da vivere.... la primavera, intanto, tarda ad arrivare..."
(F. Battiato, "Povera Patria" )
* * *
Stamattina mi ero messo di buona volontà. Avevo intenzione di passare da ognuno di voi per lasciarvi il mio pensiero di augurio....e di conseguenza, avevo iniziato il giro. Poi, non me ne vogliate a male e nessuno si senta escluso o messo in secondo piano, mi sono reso conto che era un'impresa: con alcuni ci sono riuscito, con altri no. Quindi, ho pensato (molto furbescamente, lo ammetto) di scrivere un blog. Ci sono tante persone tra voi cui sto pensando stamattina, e ci sono anche persone non più tra voi. Ovviamente, ci sono anche molte persone che non sono mai state qui. Persone vicine e lontane, sia nel tempo sia nello spazio....chi é vicino nel tempo e lontano nello spazio, e viceversa. Io non ho e non ho mai avuto grande ispirazione religiosa...tutt'altro direi. Ma il concetto di Pasqua é un qualcosa che trascende di gran lunga qualsivoglia codificazione religiosa. Che poi Ebrei, Cristiani e quant'altro la vogliano vedere a modo proprio, é un qualcosa che poco ci interessa: ognuno é libero di esprimersi per come meglio crede. Pasqua è l'apoteosi del Passaggio, qualunque esso sia. Oggi si celebra il Transito come concetto, e ognuno di noi ha dei transiti nella propria vita, piccoli o grandi che siano. Mistici, concreti, di vita o di momento. E' il concetto che conta, non l'attuazione pratica (mutevole e contingente) dello stesso. E' su questi concetti che impregnano la vita di ciascuno di noi, che ricorrenze come quella di oggi ci chiamano a riflettere. Cosa sto lasciando? dove vado? Capodanno é una fesseria convenzionale, é Pasqua il giorno che ci sbatte realmente in faccia il bilancio... Per una lunga vicenda di riflessione interiore collegata a embrionali vaneggiamenti misticoidi, che vi risparmio per non annoiarvi, io sono tendenzialmente portato ad offrire maggiore rilievo al venerdì che precede la Pasqua. Aspetto sul quale ho avuto la fortuna, il piacere ed il conforto di rispecchiarmi nelle profonde ed egregie riflessioni della cara amica Dary. Il Venerdì é rappresentazione sublimata del Prezzo, di ciò che si paga per arrivare al Transito. E' l'epifania del pedaggio, pagato il quale si aprono le Porte. Nel "Parsifal" di R. Wagner, un'opera lirica assolutamente unica nel proprio genere, densissima di contenuti mistico-esoterici destinati alla comprensione di pochi, é contenuto uno stupendo passaggio, noto come "incantesimo del Venerdì Santo". E' il momento della redenzione, culmine della vicenda: in quel giorno, un cavaliere si avanza verso il vecchio Gurnemanz, decano dei Cavalieri del Graal; quando si toglie l’elmo, Gurnemanz riconosce in lui il Puro Folle Parsifal, lo benedice e lo proclama Re del Graal: Parsifal, trasformato da Redento in Redentore (é stato questo, il suo Transito), benedice a propria volta la donna-animale Kundry (in un certo senso, personificazione della forza primigenia della Natura: la benedizione di Kundry simboleggia il superamento dello stato puramente animale dell'Essere Umano) e si volge a guardare la prateria che rifiorisce. Per questo da molto tempo vivo interiormente il periodo pasquale in una maniera del tutto atipica e personalissima, in linea con le mie parecchie vene di follia....é una concettualizzazione della vita stessa, per me. Inutile fare i triti e ritriti auguri della durata di 24 ore. Il mio pensiero per voi é che, guardando avanti, possiate scorgere un bucaneve che fora la coltre bianca..che possiate trovare finalmente aperta la vostra, di Porta. Luce, Serenità e Felicità...questo vi auguro, come ho potuto scrivere ai pochi amici che sono riuscito a contattare stamattina. Questo per me é giorno di profonda nostalgia...nostalgia di un passato denso di tante cose. Ma é nostalgia serena, "saudade" brasiliana come scrissi tempo fa in un blog nato in tutt'altra circostanza e per tutt'altro motivo. O, per gli anglofili, semplice "blues". E' giorno di riflessione. Attorno a me la coltre bianca é molto, troppo spessa e profonda: io non scorgo nessun bucaneve, solo qualche sparsa timida gemma sugli alberi di ciliegio, i pochi che son sopravvissuti e stanno lottando per sopravvivere in una foresta di alberi bruciati dal gelo invernale. Sono fragili, delicate....vorrei proteggerle e curarle perchè possano sbocciare liberamente ed energicamente, e inondarmi del loro bel profumo. Un giorno anche io, come Parsifal, vorrei girare lo sguardo e vedere esplodere improvvisamente fiori, alberi, colori e Vita. Ma per me, la primavera intanto tarda ad arrivare. Buona Pasqua a tutti voi, credenti e non
Quando un bel pò di anni fa ascoltai per la prima volta alcuni brani dal "Fidelio", unica opera lirica di Ludwig Van Beethoven, lo feci per la curiosità di toccare con mano come il granitico Maestro di Bonn si fosse approcciato alla musica Lirica. C'è poco da fare, musicalmente parlando il Fidelio o lo si ama o lo si odia: inviso ai cultori dell'Opera Lirica, poichè le tessiture vocali vengono passate al tritacarne del Titano; snobbato dai cultori della Musica Sinfonica, che lo ritengono il semplice tentativo isolato di uno dei maggiori Sinfonisti della Storia dell'Umanità di utilizzare le voci umane come se fossero strumenti musicali. Di fatto, un vero capolavoro. Narra di Libertà, il Fidelio....del più alto concetto possibile ed immaginabile di Libertà. E del resto, non c'era da stupirsi: Beethoven é il cantore dell'Uomo Titano (lo era egli stesso....un sordo che si ribella alla Natura e continua a scrivere musica quando gli altri, per parlargli, debbano scrivere tutto su un taccuino), del Prometeo che tenta di spezzare le catene della roccia. Già a partire dall'ouverture dal pugno d'acciaio temperato, nella versione definitiva scelta dall'Autore tra una serie di ouvertures composte appositamente (e oggi apprezzatissimi brani di musica sinfonica, eseguiti autonomamente) l'opera manifesta subito il carattere forte e deciso della tematica e del suo Cantore. Atto I L'azione si svolge in una prigione della Spagna, a Siviglia, nel XVII secolo. Don Pizarro è il governatore della prigione in cui egli stesso ha fatto imprigionare ingiustamente il suo nemico personale Don Fernando Florestano. La moglie di questi, Leonore, vuole ritovarlo e, travestitasi da uomo e preso il nome di Fidelio, ne intraprende le ricerche. Le informazioni raccolte la indirizzano proprio verso il carcere di don Pizarro. Qui, per scoprire se Florestano è tra i prigionieri, fa in modo di entrare nelle grazie di Rocco, il carceriere, e, involontariamente, entra anche in quelle di Marzelline, la figlia di lui, che se ne invaghisce sdegnando le attenzioni di Jaquino, il giovane portiere della prigione. Nel frattempo una lettera informa Don Pizarro dell'imminente arrivo del ministro di stato e teme che questi possa scoprire l'arbitrio commesso con l'arresto illegale di Florestano. Dà ordine, dunque, a Rocco di uccidere il prigioniero ricevendone, però, un rifiuto. Costretto a dover commettere personalmente il delitto ottiene, però, che Rocco prepari la fossa. Fidelio assiste al colloquio e sospetta che il prigioniero di cui parla Don Pizarro sia proprio Florestano. Per scoprirlo convince Rocco a far uscire in cortile tutti i prigionieri, ma Florestano non si trova tra questi e Fidelio, rassegnato, non può far altro che seguire Rocco nelle segrete per aiutarlo a scavare la fossa. Atto II Florestano giace incatenato nel buio della segreta e si lamenta della perduta libertà. Entrano Rocco e Fidelio, che si era deciso a salvare comunque il prigioniero chiunque egli fosse. Non appena lo vede, però, riconosce subito in lui il marito. Quando Pizarro arriva per ucciderlo Fidelio lo affronta e gli rivela la sua identità, ma il governatore è ben deciso ad uccidere entrambi. Uno squillar di tromba annunciante l'arrivo del ministro mette in fuga Don Pizarro che esce frettolosamente dalle segrete mentre Leonore e Florestano si abbracciano esultanti. Nella piazza del castello il ministro dà ordine che i prigionieri siano liberati. Leonore toglie personalmente le catene al marito e, mentre Marzelline si consola con Jaquino, si leva un coro di lode dell'eroina. Il brano che meglio canta e riassume il concetto di Libertà, é il coro del finale del primo atto, meglio noto come coro dei Prigionieri..."oh welche Lust, in freier Luft", "o grande gioia nel cielo libero", sospirano i carcerati fatti uscire eccezionalmente dalle segrete e portati nel cortile della prigione. E' un momento di grande e commovente intensità drammatica, pari se non addirittura superiore, per certi versi, alla carica emotiva che promana dall'interpretazione coristica del ben più noto "Và Pensiero" dal Nabucco di Verdi (che, così come il coro dei prigionieri del Fidelio, ha assolutamente necessità di essere "visto" in esecuzione teatrale, e non solo ascoltato da un disco o in concerto, perchè se ne percepisca appieno la profonda e penetrante carica spirituale). Inizia in sottovoce, quasi a rappresentare l'incredulità ed il timore dei carcerati del trovarsi a contatto con l'aria libera. E subito dopo si eleva al Cielo, al "Luft", l'anelito commovente di Libertà e Giustizia che sembra uscire direttamente dal cuore dei prigionieri, dove la parola e il canto diventano tuttuno con lo spirito. Oggi tutti noi conosciamo e ci crogiuoliamo per e nell'Inno alla Gioia (il coro che conclude la monumentale IX Sinfonia di Beethoven), eletto ad inno ufficiale dell'Unione Europea. Quello é un canto di Fratellanza, di Unità e Pace universale. Ma il cammino per arrivare all'Inno alla Gioia é duro, e deve passare necessariamente attraverso il coro dei prigionieri del Fidelio: così é stato nella Musica, ma così é anche nella parabola dell'Umanità. Poichè mai vi sarà Pace e Fratellanza tra gli Uomini, se prima tutte le catene che li avvinghiano feroci non verranno spezzate definitivamente. Viceversa, avremo vissuto tutti solo la pura illusione di aver conquistato il Cielo, senza renderci conto che abbiamo preso semplicemente un'ora d'aria prima di tornare in catene nelle nostre celle.
(pubblicato su Cafè de la Paix l'11 febbraio 2008)
Ho deciso di tare un taglio decisamente neoellenistico a Cafè, seguendo le orme del mio maestro Luciano di Samosata. Nel momento dell'ispirazione, sto ascoltando macho man dei village people. Ai tanti dark, darkettari e darkoni (non ai gothic, che son persone dalle quali si può solo imparare) che imperversano su Netfangolog consiglierei la lettura del suo "dialogo dei morti". Alla fin fine, ho imparato a mie spese cosa sono i posers (intellettuali dissidenti al confino di polizia) e cosa sono gli emo (gli emo sono emo. Tautologia proteinica). Io vorrei essere un village people, invece. In attesa che la mia mente da dio (ebbene sì, scoprirete nel prossimo post che io sono Dio...ho tratto questa inaspettata quanto non spiacevole conclusione dalla recente vicenda della cancellazione-non cancellazione di Cafè, osservati gli effetti che questa ha sortito sulla mente del netloghiano medio. Roba da Sert) concepisca il blog gemello a quello di Ierofante (altro essere mitologico) sul vampirismo in netlog, rassegno alcune utili riflessioni delle quali la vostra vita intestinale non potrà fare a meno.
ELOGIO DELLA CARTA DA CULO. Il mecato libero-concorrenziale, a volte, deroga dalle consuete dinamiche della domanda e dell'offerta (oramai appannaggio esclusivo delle economie di baratto tribali africane e di E-Bay) per seguire vie affatto inaspettate. In linea di massima, la regola é quella del bilanciamento dei fattori produttivi affinchè si realizzi un accettabile compromesso tra costo marginale medio (ovvero il massimo accettabile di costo di produzione al quale si può giungere senza che questo sopravanzi il prezzo, ovvero senza che la produzione vada in perdita) e prezzo finale di vendita, la cui differenza (prezzo meno costo) dà il ricavo medio del produttore. NOn é però detto che, dato un determinato prezzo al consumo, a minore costo di produzione corrisponda maggiore ricavo per il produttore (tranne che per i cinesi, che però lavorano con costi di produzione prossimi allo zero). Minore costo significa minore qualità, e la preferenza del consumatore potrebbe rivolgersi verso altri prodotti, similari o succedanei del primo (il prodotto succedaneo é quello che non é simile, ma quello che, economicamente parlando, é assimilabile per funzione al primo, al quale può essere sostituito: ad esempio, il burro é succedaneo dell'olio). Per convincere il consumatore ad acquistare il prodotto di minor costo, si ricorre allora alla concorrenza sleale parassitaria: si prende l'originale come modello, se ne modificano alcune parti marginali della presentazione, e si inganna il consumatore. Qualcuno ricorderà di quando Roberto da Crema, alias il Baffo, si spaccò un braccio (ci fu un periodo che si presentava in TV col braccio ingessato) per promuovere "l'orologio che tutti vogliono, IL WATCH!", che era il farlocco dello Swatch (che già di per sè é un farlocco). Anni fa si verificò però uno strano caso di concorrenza parassitaria, in cui il prodotto farlocco sopravanzò di gran lunga l'originale per qualità. Ancora oggi ci si chiede cosa sia successo. Come voi tutti sapete, tra le più pregiate carte igieniche a triplo strato ci sono da un lato la maschia e robusta Scottex, sponsorizzata da un cane, e dall'altro la melliflua e leziosa Cottonelle. Quest'ultima, nella confezione, presenta una donna stilizzata che con fare sognante si passa della carta igienica sul viso. Chiaramente, noi tutti siamo portati a pensare che, se una delicata donzella usa quella carta per passarsela sul viso adolescenziale, figuriamoci che goduria proveremo noi a passarcela sul culo. Ad un certo punto, fece la propria comparsa sui banconi del supermercato una sospetta e preoccupante "SCOTTONELLE", infelice crasi tra Scottex e Cottonelle. La acquistai per caso. Ebbene....é risultata essere morbida con cinque veli, non si fora ed aderisce bene al palmo della propria mano: una carta igienica soffice, dalla superficie trapuntata ottenuta attraverso una innovativa lavorazione, che offre una migliore consistenza, una morbidezza ed assorbenza senza confronti. Molto meglio degli originali, insomma. Ha però il difetto che non ci si possono fare gli aeroplanini. Un pò come l'acqua Lete che, nata come farlocco della Ferrarelle, ha finito per farla a pezzi.
(pubblicato su Cafè de la Paix il 30 gennaio 2008)
Non so che senso possa avere un blog come questo. Completamente fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto. Quasi più fuori di me, il che é tutto dire. Settembre é passato da un bel pezzo, quindi non c'è manco la scusa delle lacrime di coccodrillo dell'Undici. Eppure io, che non ci sono mai stato ne l'ho mai vista se non in TV...che non ho parenti emigrati nè niente di niente che mi ci leghi, in questa ennesima nottata insonne di riflessione, penso a quella grande Città. Là fuori, fredda e ferita, con le luci che si riverberano sull'Atlantico nero, con la Libertè che innalza imperiosa la propria fiaccola. Ma non é la New York di Frank Sinatra e di Woody Allen, che mi si para davanti agli occhi questa notte. Non é la "an-way" dei lofts, o della V avenue...No, non é nemmeno la Grande mela piena di polvere bianca, di urla strazianti, di pompieri che corrono... Sarà perchè l'altra sera parlavo dell'America con Miss Asia, sarà perchè io (a dirla tutta) con l'undici settembre ci sono legato a doppio filo anche se non ho nessun legame, come ho detto prima (...ma di fatto é stato come se l'avessi visto mentre accadeva, anche se io ero in Italia e la notizia, quel maledetto pomeriggio, sarebbe arrivata solo due ore dopo, e di tutto questo mi é capitato di parlare stasera)....non so, ma non é quella New York. E' invece una New York sotto la neve, vista da una nave che approda in un'isoletta al largo della baia, proprio sotto la statua... E' una new york fatta di un grande stanzone con una grande fila di persone variopinte, di tanti odori, di bambini che piangono e ridono, e urlano felici e spaventati....di stentorei Police-men con le divise del secolo scorso (pardon, di due secoli fa....ancora mi devo abituare al concetto di ventunesimo secolo), quelle con le falde della giacca blu che scendevano fino a sotto il bacino.... E' uno stanzone dove sotto le stelle e strisce si parla veneto, pugliese, campano, calabrese, siciliano...tutto tranne che italiano. E soprattutto, tutto tranne che inglese. E' la New York di Ellis Island. Io mi emoziono molto quando vedo le immagini dei documentari...le foto in bianco e nero...uomini baffuti vestiti di tutti i quadretti possibili ed immaginabili, donne con tonnellate di bambini di varie età e fogge al seguito...e valigie, valigie, valigie....valigie piene di Italia. Provo ad immaginare cosa potesse aver visto un bambino da dietro quelle finestre, mentre aspettava che i genitori si facessero stravolgere il cognome dal funzionario di turno, e quel maledetto timbro calasse una volta per tutte su mesi e mesi, forse anni, di speranze e spezzasse per sempre le catene dell'angoscia e del terrore per il futuro. E accanto a loro Greci, Irlandesi, Polacchi, Tedeschi (che credo si siano trovati in circostanze alquanto imbarazzanti, negli anni a seguire).... Cosa avrà visto quel bambino? La Statua?....la costa? lo Skyline con l'Empire State Building? L'America, ha visto l'America...e chissà cosa avrà provato, quali brividi...là fuori c'era l'America. Poi quel bambino é cresciuto, ha cominciato ad aiutare il padre nel panificio...poi ha assistito il padre malato, e lo accompagnò nell'ultimo viaggio all'ombra di tante lapidi ed erba verde...poi ha aperto un altro panificio, più grande e più bello di quello in cui il padre tanti anni prima aveva iniziato a fare il garzone. Poi si é sposato, ha messo al mondo tanti bambini con i capelli neri come i suoi e gli occhi azzurri come quelli della madre....e quando i bambini furono un pò più grandicelli, iniziò a raccontargli, in un inglese sempre più sicuro, di quella terra lontana col mare davanti e l'odore di un fiore chiamato gelsomino nelle sere di primavera...le leggende e le favole di principesse rapite e vascelli stranieri. Poi anche quel bambino di Ellis Island iniziava a farsi vecchio, ed era assistito dai suoi bambini oramai non più bambini, ma prossimi all'Università... Il suo dolore fu grande, quando seppe della disgrazia che era caduta sul suo antico Paese, finito sotto il tallone straniero e oramai prossimo alla distruzione. Un moto di amore, paura ed orgoglio lo prese quando seppe che uno dei suoi bambini aveva deciso di vestire una divisa ed andare a combattere in quel vecchio, disastrato Paese che lui amava tanto...e ripensava a quando era piccolo piccolo e papà se lo portava in barca a pescare. Ora suo figlio andava a riprendersi quel mare che non aveva mai visto mi di cui aveva solo sentito parlare nelle favole. E quando suo figlio non fece mai più ritorno, il bambino di Ellis Island pianse...e non potè credere a quanto beffarda fosse la vita: suo padre, italiano, riposava in america e non avrebbe mai più rivisto l'Italia....suo figlio, americano, riposava in un prato italiano e non avrebbe mai più rivisto l'America. Gli altri suoi figli crebbero...e divennero avvocati, medici, poliziotti, giudici...ed ebbero a propria volta altri figli. Il giorno che divenne nonno per la quinta volta, il bambino di Ellis Island andò a riposare vicino al papà. E insieme, finalmente, tornarono a fare le loro pescate in barca nelle miti serate della primavera mediterranea. Ancora oggi, si guardano complici e sorridenti mentre le onde placide dello Jonio, del Tirreno e dell'Adriatico cullano la loro barchetta....si lanciano sguardi d'intesa soddisfatti....loro, piccoli italiani senza soldi e senza nulla, hanno costruito l'America. E milioni e milioni di altre barchette come quella, con padri e figli a bordo, nelle notti di primavera vengono cullate dalle onde davanti alle coste della Grecia, della Polonia, dell'Irlanda.... Sapete...quelli erano i nostri fratelli....era la nostra gente. Questa notte ho capito una cosa importante. C'è il sangue dei miei fratelli, dentro quella bandiera a stelle e strisce, c'è il sangue della mia gente, il sangue Italiano. Anche quella é la mia bandiera: io che sono rimasto, lo devo a tutti quei bambini di Ellis Island che oggi sono in barca di sera davanti al lungomare della mia Terra, della mia Città. E, soprattutto, lo voglio. Sono uno schifoso nazionalista? Probabilmente sì, ma almeno io so chi sono. Se qualcuno non gradisce, buona vita
Oh my love, it's a long way we've come From the freckled hills to the steel and glass canyons From the stony fields, to hanging steel from the sky From digging in our pockets for a reason not to say goodbye
These are the hands that built America (Russian, Sioux, Dutch, Hindu) Oh, oh oh, America (Polish, Irish, German, Italian)
Last saw your face in a watercolour sky As sea birds argue, a long goodbye I took your kiss, on the spray of Endless stars You gotta live with your dreams, don't make them so hard
And these are the hands, that built America (The Irish, the Blacks, the Chinese, the Jews) Ah, ah ah, America / Hand (Korean, Hispanic, Muslim, Indian)
Of all of the promises, is this one we could keep Of all of the dreams, is this one still out of reach
Out ta outa reeeach (Dream-oh-yeah) (Oh oh-dream, oh love)
It's early fall, there's a cloud on the New York skyline Innocence, dragged across a yellow line
These are the hands that built America These are the hands that built America Ah-ah-ah-ah-ah America
(pubblicato su Cafè de la Paix il 27 dicembre 2007)
"Ma non vi danno un pò di dispiacere, quei corpi in terra senza più calore? ... Nel fango affonda lo stivale dei maiali, me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale"
(F.Battiato, "povera patria" )
* * *
Marilyn Monroe, requiescat in pacem, non se la prenda a male: splendida attrice, ma era meglio che stesse con la bocca chiusa. Poco fa ho avuto il piacere di leggere un sagace blog natalizio sul profilo di un nuovo amico, e l'occhio mi é caduto sulla citazione parafrasata di una nota pubblicità: un diamante é per sempre. Ah, il Diamante....quante follie si fanno per un diamante: sigilla un amore, é simbolo dell'imperituro e della purezza assoluta. Che meraviglia che meraviglia. Abbocchiamoci tutti come dei gonzi (quelli veri, no gonzo dei muppets)...oppure tentiamo di vedere le cose come stanno realmente. Facciamo un passo indietro. Fra le zone a maggiore estrazione diamantifera, tralasciando il sudafrica (Sudafrica....ci siamo mai chiesti quali fossero i motivi reali in base ai quali la comunità internazionale ha tacitamente tollerato per decenni il regime di apartheid? ) si annoverano Sierra Leone e Liberia, e seguono a ruota Costa d'Avorio e, in minima parte, Guinea. Teoricamente, esisterebbe una convenzione internazionale, nota come protocollo di Kimberly, in base alla quale vi é il tassativo divieto del commercio di diamanti provenienti da zone di guerra, civile o internazionale che sia. Questo per evitare che il commercio di diamanti possa procurare dei vantaggi economici diretti alle parti in contesa armata. Il protocollo di Kimberly viene tranquillamente aggirato in una maniera molto semplice: lo Stato belligerante X fa passare di contrabbando i propri diamanti nello Stato neutrale Y, e quest'ultimo (a fronte di una sostanziosa "tangente" ) certifica come provenienti da sè stesso Y i diamanti in realtà provenienti dallo Stato X (poi, se a X volete sostituire "Sierra Leone" e ad Y volete sostituire "Guinea", é affar vostro...). Il diamante così "ripulito" entra dunque in commercio, allo stato grezzo. E chi ne acquista la maggior quantità? voi penserete, "beh, c'è il libero mercato"...e qui casca l'asino! il "libero mercato" consiste solo ed esclusivamente nel cartello di oligopolio capeggiato dall'arcinota De Beers olandese. Esatto, proprio quella del diamante per sempre. Cerchiamo di impostare un piccolo ragionamento economico, che ci permetterà di comprendere meglio questo perverso meccanismo. Perchè un diamante costa così follemente tanto? E' una cosa illogica, se ci pensate. Il diamante grezzo, a parte l'utilizzo industriale dovuto alla sua durezza, é fondamentalmente inutile, o quantomeno é meno utile (e quindi meno prezioso) dell'acqua...che a rigore dovrebbe avere un prezzo infinitamente superiore. Nelle scienze economiche, questo particolare fenomeno é noto proprio come "paradosso dell'acqua e del diamante". Tale paradosso viene risolto facendo ricorso al concetto di rarità: il diamante é più raro dell'acqua, e su questa base il suo prezzo é esponenzialmente superiore. Ma a questo punto, scatta un secondo paradosso: il diamante é maggiormente reperibile, in natura, rispetto alle altre pietre preziose (rubini, smeraldi etc etc). Come mai il diamante ha un prezzo superiore rispetto quello di pietre molto più rare, come lo smeraldo? E qui scatta l'inghippo. Poichè maggior disponibilità in natura non equivale necessariamente a maggior disponibilità sul mercato. Accade questo: il cartello oligopolistico olandese del Diamante, forte di ingentissimi mezzi economici, fa incetta di diamanti grezzi e li toglie quasi tutti dal mercato di ingrosso. Dopodichè, come si dice in gergo economico, agisce di "conserva", ovvero rilascia sul mercato al dettaglio una quantità infinitesimale di diamante lavorato (facendone così aumentare a dismisura il prezzo) e trattiene nelle proprie riserve tutto il rimanente grezzo. In altri termini, se sul mercato del prodotto grezzo esistono 1000 diamanti, la multinazionale ne acquista 990, dopodichè ne lavora e ne mette in vendita al pubblico solo 90. I rimanenti 900 li custodisce nelle proprie scorte. Il diamante diviene per questa via artificialmente rarissimo. Il problema é che il diamante grezzo acquistato proviene in larghissima misura dalle zone di guerra, secondo quel doppio passaggio che abbiamo visto prima, poichè in quel caso il costo per la multinazionale é irrisorio (non si paga manodopera di estrazione, non si pagano dazi doganali etc etc). Spesso e volentieri, il grezzo proveniente dalle zone di guerra (attraverso lo Stato neutro compiacente, cosiddetto "Stato canaglia" ) viene pagato, attraverso complessi passaggi (ogni giorno gli oceani sono solcati da decine di navi che trasportano "rottami ferrosi" ) direttamente con armi e beni militari. Ma ancora non é finita. Ricordiamoci che il commercio mondiale del diamante, per via degli obblighi giuridici internazionali, avviene in regime di apparente libero mercato. Cosa succede se un'industria emergente, che non sottosta alle regole del cartello, cerca di imporsi sul mercato e tenta di spezzare l'oligopolio olandese? Beh, molto semplice: l'oligopolio ricorre al meccanismo dell'inflazione. Considerate che, se il grezzo viene rastrellato dal potente cartello a costi irrisori, l'industria emergente dovrà invece sostenere costi molto alti per potersi assicurare, secondo i canali legittimi, quel pò di grezzo che é rimasto disponibile. A quel punto, l'industria emergente lavora quel grezzo e lo pone come prodotto finito sul mercato dei gioielli, ad un prezzo finale che sarà lievemente inferiore (per essere concorrenziale) a quello praticato dalla multinazionale olandese. Ovviamente, tale prezzo finale non potrà certo essere inferiore a quello del complesso dei costi sostenuti dall'industria emergente per la produzione, poichè in quel caso si andrebbe in perdita. A quel punto, la multinazionale olandese attinge alle proprie riserve, aumenta la produzione ed inonda il mercato con i propri diamanti, finchè il prezzo finale (maggiore disponibilità=minore rarità=minor prezzo) scenderà al di sotto del costo che l'industria concorrente ha dovuto affrontare per piazzare il proprio diamante. L'industria emergente non ci rientra più nemmeno con le spese e a quel punto ha due vie: o si sottomette al cartello della multinazionale, o fallisce. Esiste anche un altra situazione: mettiamo caso che lo Stato africano X, dopo un lungo periodo di crisi, giunga ad elezioni democratiche ed elegga un governo rappresentativo, il quale rivendica il diritto al controllo delle proprie miniere diamantifere e si oppone allo strapotere in casa propria della multinazionale del diamante. In quel caso, la multinazionale del diamante, forte dei propri spaventosi mezzi economici, promuove la costituzione di un fittizio gruppo di ribelli, armati di tutto punto e ben addestrati, che si oppone con le scuse ideologiche più assurde al governo ufficiale. Ecco dietro l'angolo il colpo di stato militare (o anche delle semplici elezioni pilotate) che rovescia il governo democratico e insedia al potere l'immancabile dittatore con i macchinoni americani. Ovviamente, il dittatore pagherà dazio al proprio "sponsor", permettendo l'abuso indiscriminato delle miniere diamantifere del proprio paese. E il sangue scorre, scorre, scorre.... Personalmente, donerò alla misteriosa donna della mia vita tutto di me: cuore, anima...e anche la stessa vita, se ciò dovesse essere necessario. Un diamante, mai. Un diamante é per sempre, come il sangue innocente che lo ricopre.
(pubblicato su Cafè de la Paix il 30 novembre 2007)
"Saudade" è un termine che deriva dalla cultura lusitana, prima portoghese e poi brasiliana, che indica la melanconia, un sentimento affine alla nostalgia, una speranza che si teme vana. Ha una dimensione mistica come accettazione del passato e fede nel futuro. È una tristezza che non fa solo male e anche un piacere che non fa solo bene. Avete presente "girl of ipanema"? http://www.youtube.com/watch?v=mpmGKbXxaOk&fea- ture=related La melanconia é rappresentata benissimo da quella musica, secondo me.... La definizione che ho copiato da wikipedia é eccellente, ed oltre a descrivere il significato del termine brasiliano "saudade", descrive anche il mio stato d'animo di queste ore. Ne deduco che soffro di saudade... Non é nostalgia: la nostalgia é il dolore (algheia) del ricordo, letteralmente del ritorno al passato (nostos)...ad esempio, l'Odissea é un grande poema di Nostos...la parabola del ritorno, nel dolore di Ulisse per il ricordo della casa e degli affetti. Così come grande esempio di Nostos é la marcia dei diecimila reduci Ateniesi del generale Senofonte, nel grande ritorno dalla Persia verso casa...sulla stessa via che secoli dopo sarà percorsa da altri grandi reduci...i Macedoni di un ormai declinante Alessandro Magno, di ritorno dalle alture indiane del Paropamisos...Paropamisos che io ho visto in sogno ed ai cui piedi mi trovai improvvisamente, pur non essendovi mai stato. E Nostos, per tornare ai giorni nostri, sono gli struggenti racconti di Mario Rigoni Stern...il ritorno disastroso degli Alpini dalla campagna di Russia. La Nostalgia é quindi dolore del passato che é anche presente...la Saudade, la melanconia é dolore del futuro....ma é un futuro che si arresta al presente, e quindi non é più futuro... Avete presente la solita storiella del treno che é passato e che oramai avete perso? quello é rimpianto.... La melanconia, invece, é quando vi affannate per arrivare alla stazione, ma avete lasciato l'orologio a casa e non c'è nessuno che può darvi informazioni...voi non sapete in effetti se il treno sia già passato o ancora debba ancora arrivare...ma avete come la sensazione che sia già passato, perchè magari avete notato qualcosa, un particolare impercettibile ma inequivocabile che ve lo fa credere...ma nel dubbio che sia solo una vostra impressione, continuate a coltivare un minimo di speranza che il treno debba passare...anche se dentro di voi non ci credete più. Allora chinate il capo e sorridete ironicamente scuotendo la testa. Ecco, quella é saudade. Stasera sono molto brasiliano, nello spirito. L'altra notte scrissi "quei giorni lì", in cui l'attesa veniva dipinta come un'attualità...meravigliosamente sconvolgente nella sua nebulosa staticità. Stasera il fumo della mia sigaretta si alza grigio, senza nessuno di quei mille colori....tenta una piccola danza, che subito si dissolve nel silenzio della solitudine, come l'evanescente ragazza senza volto sulla spiaggia di Ipanema. Io ballo al ritmo della bossa nova con i miei pensieri e con le mie immagini...e sorrido melanconicamente. A tratti una sensazione più leggera, di melanconia vera e propria...accompagnata da una serena accettazione della tristezza col sorriso sulle labbra....a tratti una piccola smorfia di Nostalgia, con la disperata consapevolezza (perchè tu sai, come sei fatto) che un pezzetto di qualcosa non riuscirà ad andarsene più via. Il sorriso della saudade é il sorriso dell'autoironia....del guardarsi e ridersi in faccia, dicendosi "stupido, stupido, stupido! di nuovo! ma quando imparerai?" ... ma é un sorriso un pò tirato agli angoli della bocca, lo ammetto... Nello stesso momento in cui uno osserva quanto tirato sia il sorriso agli angoli della bocca...la bocca si apre in un sorriso ancora più grande, perchè ti viene da pensare quante parole avresti voluto fare uscire dalla tua bocca...quante cose avresti voluto dire...le parole che avresti voluto dire, quelle parole. E ti si visualizza il tracciato, il percorso che quelle parole avrebbero eseguito: cuore, poi bocca, poi occhi... Sì, occhi. Non orecchie, occhi. Perchè nel momento in cui nascono quelle parole, nella tua mente e davanti a te hai due occhi...e non due orecchie. Due occhi che brillano come due stelle col sorriso sotto... E mentre continui a sorridere ad occhi scuri al vuoto davanti a te, vedi il fumo grigio della sigaretta che continua a danzare sull'immaginaria spiaggia di Ipanema, fino a diventare sottile, sottile, sottile....immagine di quella speranza che sparisce leggera leggera, E come é sempre stato nel tuo stile, al suono del sax ed al ritmo della melanconica bossa nova, non ti resta che fare una cosa: abbassare la falda del tuo panama bianco, col sorriso della saudade sulle labbra... allontanarti in silenzio e in punta di piedi, con discrezione e senza far rumore, e riprendere la tua strada....sparire nel nulla e non lasciare nessuna traccia. Finchè di te non resterà che una sigaretta spenta e fumata a metà, abbandonata sulla spiaggia di Ipanema...cui presto nessuno farà più caso, tanto un giorno verrà portata via dal mare. E ti sorprendi a sussurarti "Ah, por que tudo é tão triste?"..... Anche se non sei brasiliano e non conosci il portoghese. Buonanotte da Horus il brasileiro
Olha, que coisa mais linda, Mais cheia de graça, É ela, menina, que vem e que passa, Num doce balanço, a caminho do mar. Moça do corpo dourado, Do sol de Ipanema, O seu balançado É mais que um poema É a coisa mais linda Que eu já vi passar
Ah, por que estou tão sozinho? Ah, por que tudo é tão triste? Ah, a beleza que existe A beleza que não é só minha, Que também passa sozinha.
Ah, se ela soubesse Que quando ela passa, O mundo inteirinho Se enche de graça E fica mais lindo Por causa do amor.
Nel 1999, l’uscita di “The Matrix” nelle sale cinematografiche del mondo ripropose con grande energia, seppure con termini del tutto nuovi e maggiormente aderenti al probabile, la tematica sottesa al mito della caverna di Platone, ovvero la pericolosa frattura che può crearsi tra realtà ed opinione del circostante, quando la seconda prevale sulla prima e devia quindi il percorso di conoscenza dal raggiungimento della verità. Non senza forti riferimenti di natura mistica e soterologica, nel film Matrix, la razza umana è controllata e sfruttata dalle macchine, che fanno credere loro di vivere liberamente nel mondo del XX secolo, mentre in realtà la tengono imprigionata, coltivando uomini e donne per trarne l'energia necessaria alla loro sopravvivenza meccanica. La gente vive senza accorgersi minimamente della realtà perché vive collegata ad un sistema informatico, chiamato appunto Matrix dai dissidenti, che invia impulsi elettrici al cervello umano, convincendo gli uomini di vivere in un mondo che, in realtà, non esiste più da centinaia di anni. Il messaggio della filosofia espressa da Matrix risiede quindi nella constatazione che gli esseri umani, di fatto, vivano in una sorta di perenne illusione sensoriale, non solo ottica ma coinvolgente tutte le facoltà cognitive…tatto, olfatto e così via dicendo. In questo mondo di illusione, poi (e qui scatta la componente mistica) in determinate circostanze compaiono degli Illuminati i quali, avendo raggiunto la consapevolezza assoluta, si fanno latori della Verità e si assumono il compito di portare il messaggio dell’esistenza di un Mondo superiore, l’unico mondo reale, paradossalmente non visibile e non sperimentabile proprio a causa dell’illusione costante creata dall’opinione formatasi in base all’illusione corrente. Invero, la teoria non dice nulla di nuovo: già l’autore e filosofo ellenistico Luciano di Samosata giunse a sostenere che in realtà noi non saremmo altro che “eidola”, apparizioni o fantasmi “virtuali”. L’elemento di novità apportato dalla teoria di Matrix, quindi, consiste principalmente nell’individuazione dell’informatica quale elemento causale della creazione di un’opinione che sopravanzi la realtà. E qui il discorso inizia a farsi molto serio, se quel messaggio viene attentamente interpretato, scremato degli aspetti “filosofici”, calato nell’attuale realtà e da qui riletto in chiave di contrapposizione tra “virtual life” e “real life”, la prima opinione e la seconda realtà fattuale: ovvero, quando il rapporto tra le due dimensioni trascende le dinamiche della sinergia per approdare a quelle della contrapposizione. Infatti, a ben vedere, mentre la sinergia comporta fusione ed interazione tra virtual e real life, la contrapposizione comporta necessariamente la prevalenza dell’una sull’altra. Prendiamo ad esempio proprio casi come Netlog o i vari messengers, ove si assiste a situazioni sconcertanti. In linea teorica, nell’ambito dei rapporti umani, questi strumenti dovrebbero assolvere al compito di mettere in contatto due o più persone tra loro. Superata la prima fase, può presentarsi l’eventualità che il rapporto di virtual life si traduca in rapporto di real life, ovvero in altri termini che l’elemento virtuale (meramente opinionistico) venga sostituito e travasato dall’elemento reale (real life) e venga di fatto neutralizzato, ridotto a mera occasione in cui l’incontro ha trovato radici (non dissimile da un tram, da una metropolitana, da un cinema, una lezione all’università e così via dicendo) Solita solfa, ci si conosce, ci si incontra, ci si telefona e così via dicendo. A quel punto, si diramano le due vie: o la verità prende il sopravvento sul virtuale e lo ingloba, ed il rapporto si svolge secondo i criteri ordinari di qualsiasi conoscenza umana (ovvero, i criteri di lettura ed interpretazione della persona e dei comportamenti dell’interlocutore vengono primariamente desunti dall’esperienza in real life, tramite frequentazione diretta, telefonata, etc…mentre la virtual life viene degradata ad elemento secondario ed eventuale), è questa è sinergia. Ovvero scatta una pericolosissima deriva patologica, che io chiamo effetto Matrix appunto, in base alla quale non solo le due strade, reale e virtuale, continuano a restare divise ed autonome, ma la prevalenza viene data alla virtuale, con eliminazione di ogni criterio collegato alla vita reale e con assunzione del comportamento virtuale ad unità di misura del tutto. A quel punto, é il rapporto reale che viene nuovamente soppiantato dal virtuale, e diventa secondario per importanza ed effetti rispetto a quest'ultimo, che assume preminenza assoluta.
Mi rendo conto che sarebbe molto opportuno che io variassi al più presto le mie abitudini musicali. Ma tant'è...io ci vivo nella musica. E' il tutto di me, la mia anima, il mio simbolo e la parabola che mi racconta ed attraverso cui mi racconto. Poi si fa notte, e si muovono le corde più profonde del mio spirito: si sa, io figlio della luce vivo di notte. Se alla notte ci aggiungiamo la musica, otterremo il risultato che l'indomani mattina mi risveglierò con un gran mal di testa. Adesso mi sto ascoltando quel piccolo capolavoro che é "Napule è", di Pino Daniele, ne avevo voglia. A parte la bellezza in sè del brano e la grandezza di Daniele, sono ammaliato dai passaggi di oboe e dalle tessiture degli archi...mi ci perdo. E ovviamente la naturale conseguenza é che inizio a pensare, anzi a volare. C'è chi si affida ad una canna, chi a riti magici..io alla mia musica. I pensieri non sono mai collegati al testo della canzone, é semmai l'anima collegata alla melodia...e al di là delle parole del testo, la mia piccola anima si lega ad ogni singola nota, e con lei vola su e giù attraverso il cielo. L'anima poi si collega con la mente, e si invertono i ruoli...il pensiero diventa servo dell'ispirazione. Serve solo per tradurre in immagine il concetto che si forma spontaneamente. Non so come mi sia venuto questo pensiero, che non ha nulla a che vedere con quanto sto ascoltando. Ma il pensiero é che vorrei abbandonarmi all'ebbrezza di dimenticare, perdonare ed essere perdonato. E' una tentazione molto forte, talmente forte che non é facile resistervi, neanche per me. Dimenticare tutto, fare piazza pulita, lasciar perdere...abbracciare, stringere, accarezzare, sorridere con il viso e con gli occhi, ridere come un pazzo, raccontare storielle e barzellette di fronte a cui solo la compassione permetterebbe di ridere. Dare un buongiorno, augurare una buonanotte...dire una parola buona, dare una pacca sulla spalla, scambiare una sigaretta, parlare di cose folli da ricovero in manicomio, alzare gli occhi al cielo per farmi indicare una stella che sta per essere coperta da un lato di una nuvola mentre dall'altro spunta la luna... Forse sono solo suggestionato dal nome che ho voluto dare al mio profilo, ma sono tentazioni molto forti, quelle dell'ebbrezza del perdonare...talmente forti che potrebbero risultare fatali per un piccolo uomo come me. E chissà se ne sarò mai all'altezza, semmai se ne presenterà l'occasione. E ora mi addentro nella mia amata notte...dovrò pagare il prezzo di un giorno, per ottenerne un'altra.
....è a voce de' criature che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sulo....
Ci sono volte in cui uno esce in balcone per fumarsi tranquillamente una sigaretta. Ci sono volte in cui uno esce in balcone, e la sigaretta non basta più... troppe cose da considerare, cui pensare. Ma soprattutto, il nulla cui pensare... Il nulla non é affatto assenza di elementi, ma qualcosa di diverso. E' la porta che permette l'elevazione spirituale, dato che l'autoannientamento del pensiero e della ragione é il presupposto necessario affinchè percezione ed irrazionalità trovino ingresso. Si gode di tante cose, in quei momenti. Io personalmente, dalla mia Catania, inizio a guardare a sud-est, sento dentro di me (il mio naso fisico, ahimè, percepisce tutt'altro...) il vento caldo delle notti arabe, con delle venature egiziane di cui a volte mi sfugge il significato. Perchè la cosa bella, é che il significato non esiste. Il significato é lettura razionale, ed il gioco non funziona più. Si materializzano delle immagini persiane, piccole candele sotto un cielo stellato in stanze arabeggianti...che in parte mi ricordano l'alhambra di Granada. Se uno ci si mette d'impegno (cioè, se uno lascia ogni impegno e si abbandona completamente...), in certe notti particolarmente calme si può anche sentire il suono del rebab, il violino arabo. Dovrei dire violino e basta, dato che questo strumento lo hanno inventato proprio gli arabi, e fece la propria comparsa in europa alla corte di Carlo Magno. In fin dei conti, io l'ho sempre saputo che vengo da lì...o meglio, anche da lì. Chi si picca di tematiche reincarnatorie, mi descrive come un cavaliere saraceno alla corte palermitana dell'Imperatore Federico II. Io, alto 1,85..castano chiaro e con gli occhi chiari... Così mi é stato detto, e così riferisco. Del resto i cronisti arabi narrano che il Saladino (essendo di origine curda) fosse alto quasi due metri, chiarissimo di carnagione e con i capelli rossi. Sta di fatto che, oltre a fumare di meno, dovrei anche smettere di continuare ad ascoltare Seven Seconds.
Detta così, pare una via a metà tra il titolo di un film di lino banfi e una manifestazione organizzata da veltroni. Poi alla fine uno scrive il blog perchè epistemologicamente parlando un ci ha 'n cazzo da fare. Verrebbe da fare l'elogio della notte. Fondamentalmente, é sana, elegante, non inquina e garantisce un attimo di ritrovo con sè stessi. E ciò che importante, nessuno rompe. La notte é la mia dimensione parallela, anche se disgraziatamente sono a volte costretto a trascurarla per dare conto al caro Morfeo, tizio devo dire sufficientemente avaro con me. Finalmente i tarlopensieri del giorno si mettono a tacere, e scava scava, nel giusto silenzio acustico e morale, uno ripesca i vecchi tesori che teneva da parte. Certo, alla fine son pensieri pure quelli...ma son pensieri tuoi, soggettivi, personali, non contaminati e puri nella propria follia. Ciò che é più importante, é che si mette a tacere la ragione, insopprimibile male necessario per chiunque si trovi costretto a fare i conti con la vita e le sue responsabilità. Ma siccome a quest'ora vita e responsabilità indesiderabili dormono beatamente, anche la ragione si può godere il proprio meritato riposo. Insomma, passata una certa ora (ma in realtà, superate certe soglie di insanità) é come se si alzasse una brezza, che presto si trasforma in vento fortissimo, carico di odori orientali (la mia notte é araba) e voci sparse...e personalmente, anzichè coprirmi con la maglietta della salute, mi diverto ad espormi come un pazzo sul ballatoio più alto del mio faro sull'isola deserta in mezzo al mare in tempesta (di fatto, una delle poche forme di ludo balneare che apprezzo. Forse l'unica, considerato che le poche altre derivano dal fatto che uno sta in Sicilia...insomma, poi pare male che uno disprezza il mare ) Due immagini mi descrivono in questo momento, due immagini che apparentemente non c'entrano nulla l'una con l'altra. Una é quella di un giovane alberto sordi che, sporgendosi dal tettuccio apribile della 500, si rivolge ad un gruppo di operai stradali e....LAVORATORI!!!!! Poi però a 500 je se ferma...e son zebedei ipocalorici. L'altra, forse mi descrive meglio, é quella di Topolino apprendista stregone in "Fantasia", che sul pizzo dello scoglio muove e dirige gli elementi della natura (soprattutto il mare) in una sinfonia di casino unico, caos puro, follia assoluta. Poi però le scope avanzano con i secchi, e si sa che quando le scope avanzano, le acque si agitano... Lo spirito c'è tutto, ma c'è anche la consapevolezza che prima o poi, é legge naturale, la 500 si ferma e le scope avanzano. Che il sole sorge di nuovo e la notte svanisce. Però adesso é notte, e come disse qualcuno che la sa molto lunga (sulla notte e sui topocani), io sono sempre qui, sempre altrove. Mi chiedo in questo momento cosa succeda in posti dove vorrei essere: una sperduta chiesetta bizantina in una valle del messinese, oppure un vicolo disabitato con delle case abbandonate dietro la Kalsa a Palermo...o ancora sulle mie amatissime "pietre" di Tindarys o Naxos (non mi riferisco agli scogli, naturalmente... )...e tantissimi altri posti che stanno dentro di me. In particolare, in questo momento sto immaginando (ma siamo sempre lì, il termine é stretto ed inadeguato...uff, vediamo: qualcosa a metà strada tra immaginando-concependo-componendo-vivendo-desidera- ndo-costruendo-filmando-proiettando etc etc) alcune strade della mia città. Modernissime ed antichissime, senza mezzi termini. Sono deserte, di notte, con il pavimento bagnato e le luci che si riflettono. Infiniti movimenti invisibili, solo una figura evanescente é visibile, e cammina. L'unico velo di tristezza é portato dal fatto di non riuscire mai a comunicare adeguatamente queste cose. Già adesso, con un pizzico di amarezza nascosta dietro la mia solita guasconeria, so che qualcuno mi chiederà di consigliargli il mio pusher Ma mi son sempre chiesto, come é possibile comunicare con le parole concetti che non possono essere comunicati con le parole? Due sono le vie. O non si comunicano e buona notte (buona notte si fa per dire, dato il contenuto del blog), e ci si rinchiude in sè stessi... O si seguono altre vie, altre forme di espressione. Dopo un lungo periodo di percorso della prima via, é giunto il momento di tornare alla seconda. Sì, tornare. Perchè io quella seconda via, un tempo, la praticavo. E poi non la praticai più. Alla fin dei conti, io sono soltanto uno che cerca un pò di pace interiore, che ne ha tanto bisogno. Un pò la trovo nella notte, ma é soprattutto un simbolo, una forma di personale trasfigurazione che mi permette di toccare o di intravedere quale dovrebbe essere il mio obiettivo. Insomma, é quel preciso passaggio (nè un minuto prima, nè un minuto dopo), quella frazione di millisecondo in cui si smette di sbattere le ali della ragione e ci si libra sull'irrazionale...e bisogna essere attenti a cogliere il momento. Se troppo prima, ci si rischia di sfracellarsi a terra...se troppo dopo, si perde il treno e si continua ad essere sterilmente umani. Una volta che ti libri, non sei più padrone, ti devi abbandonare....saranno le correnti ascensionali a trasportarti, non più le tue ali e la tua coda remigante. Aveva ragione Battiato: gli uccelli la sanno lunga, sono specchi del Divino. Beh, io ho sempre pensato, tra me e me, che in realtà i sogni son tutte palle. Quello é solo il tuo inconscio che ti rimprovera, e ti dice "strunz! hai visto quante cose avresti potuto fare, invece di stare lì a dormire come un deficiente?" E come dargli torto? certo, se penso alla notte che ho sognato di scassinare il caveau della locale sede della Banca d'Italia...beh, la mattina dopo non mi son svegliato molto contento. Dopo avere riletto questo blog, ne traggo alcune conclusioni. Devo fumare di meno, dormire di più, e smetterla di ascoltare Einaudi alle 3 e mezza del mattino. Mi addentro nella mia notte folle.
Buonasera a chi mi leggerà.Per circa due anni, sono stato presente sul social network Netlog.In successione cronologica, i miei profili più importanti sono stati due: Cafè de la Paix, rimasto attivo dal luglio 2007 al maggio 2008, e Le Seagull Magique, in attività dal maggio 2008 al novembre dello stesso anno.In verità ve ne fu anche un terzo, Orion Gates, aperto nel novembre del 2008 ma mai entrato in attività.Lo trasferisco qui, aprendo il mio nuovo capitolo.A dire il vero, la mia personale concezione del blog mi porta ad aprire non tanto dei profili personali di me stesso (cosa che non ritengo utile), ma delle vere e proprie piazze, dei luoghi di ritrovo e discussione.Quanto a Cafè, ad esempio, quando ho creato quel piccolo eden di pura follia, era mio desiderio ispirarmi in spirito al vero Cafè parigino, luogo di ritrovo di menti elette ed illuminate (e perciò inevitabilmente folli), ma agivo anche sull'onda dell'emozione di un passo di "Cafè de la Paix" di Franco Battiato, che sembra dipingermi perfettamente: "...quando fui donna o prete di campagna, un mercenario o un padre di famiglia..."Il Seagull Magique (il gabbiano magico) era volutamente ispirato, come il precedente Cafè de la Paix, ad una canzone di Franco Battiato, cioè "summer on a solitary beach". Mentre il Cafè omonimo esiste realmente e si trova a Parigi, ed é un luogo reale di incontro di menti vaganti (così come voleva essere il mio Cafè), avevo concepito il Grand Hotel Seagull Magique come un luogo mitico, che non esiste da nessuna parte ed esiste dappertutto al tempo stesso. I due profili comprendevano, complessivamente, circa 130 post sui rispettivi blog, più svariate decine di foto di vario genere, e all'incirca una cinquantina di amicizie-contatti. Peraltro, il Seagull Magique contiene una memoria per me molto importante, ovvero il post che dedicai a mio padre la notte del 20 agosto, notte in cui fu chiamato in Cielo. Successivamente, vicende personali di varia natura e, sostanzialmente, il totale snaturamento dello spirito di queil network mi hanno condotto ad abbandonare quella realtà in cui non mi ritrovavo più ed in cui non avevo più nulla da dire.Eliminati gli adolescenziali myspace, i figaioli badoo e gli sterili facebook, ho pensato che qui avrei potuto esprimermi liberamente. Inizierò col riportare qui di seguito quelli che, a mio avviso, sono i post meglio riusciti dei miei due vecchi profili, come una sorta di antologia personale.A voi il giudizio.Il vostro Horus
Der Wanderer, il Viandante del romanticismo tedesco é colui il quale segue un cammino che non si dirige verso qualcosa di connotabile fisicamente, verso un "luogo" reale, tangibile; al contrario, egli è un avventuriero dello spirito, un essere che va alla ricerca di sé stesso, o meglio dell'indefinibile, di ciò di cui una lontana eco del proprio animo rende certi dell'esistenza, ma che sfugge ad ogni più rigorosa disamina razionale.