HORUS

HORUS

Benvenuti alle Porte di Orione

"No time, no space, another race of vibrations..."
Una dimensione parallela, in cui il tempo cessa di scorrere e lo spazio non ha più alcun significato.
In realtà, nulla ha un significato proprio, oltre quello che noi gli attribuiamo o che crediamo di conoscere.
Sono Horus Der Wanderer, e sulla rotta tracciata dagli occhi di smeraldo dell'antico Gabbiano, scivolando sull'onice del Cielo e proseguendo oltre le miniere d'argento della settima Luna, Iside mi svelò la via della costellazione mitologica ove adesso vago.
Molti ho incontrato sul mio cammino, che avevano smarrito la propria via o semplicemente ne cercavano una nuova.
Io sono colui che accompagna attraverso i varchi dell'Esistenza.
Benvenuti alle Porte di Orione.
Horus il Viandante.

domenica 21 dicembre 2008

Tha hands that built America

(pubblicato su Cafè de la Paix il 30 gennaio 2008)

Non so che senso possa avere un blog come questo.
Completamente fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto. Quasi più fuori di me, il che é tutto dire.
Settembre é passato da un bel pezzo, quindi non c'è manco la scusa delle lacrime di coccodrillo dell'Undici.
Eppure io, che non ci sono mai stato ne l'ho mai vista se non in TV...che non ho parenti emigrati nè niente di niente che mi ci leghi, in questa ennesima nottata insonne di riflessione, penso a quella grande Città.
Là fuori, fredda e ferita, con le luci che si riverberano sull'Atlantico nero, con la Libertè che innalza imperiosa la propria fiaccola.
Ma non é la New York di Frank Sinatra e di Woody Allen, che mi si para davanti agli occhi questa notte.
Non é la "an-way" dei lofts, o della V avenue...No, non é nemmeno la Grande mela piena di polvere bianca, di urla strazianti, di pompieri che corrono...
Sarà perchè l'altra sera parlavo dell'America con Miss Asia, sarà perchè io (a dirla tutta) con l'undici settembre ci sono legato a doppio filo anche se non ho nessun legame, come ho detto prima (...ma di fatto é stato come se l'avessi visto mentre accadeva, anche se io ero in Italia e la notizia, quel maledetto pomeriggio, sarebbe arrivata solo due ore dopo, e di tutto questo mi é capitato di parlare stasera)....non so, ma non é quella New York.
E' invece una New York sotto la neve, vista da una nave che approda in un'isoletta al largo della baia, proprio sotto la statua...
E' una new york fatta di un grande stanzone con una grande fila di persone variopinte, di tanti odori, di bambini che piangono e ridono, e urlano felici e spaventati....di stentorei Police-men con le divise del secolo scorso (pardon, di due secoli fa....ancora mi devo abituare al concetto di ventunesimo secolo), quelle con le falde della giacca blu che scendevano fino a sotto il bacino....
E' uno stanzone dove sotto le stelle e strisce si parla veneto, pugliese, campano, calabrese, siciliano...tutto tranne che italiano.
E soprattutto, tutto tranne che inglese.
E' la New York di Ellis Island.
Io mi emoziono molto quando vedo le immagini dei documentari...le foto in bianco e nero...uomini baffuti vestiti di tutti i quadretti possibili ed immaginabili, donne con tonnellate di bambini di varie età e fogge al seguito...e valigie, valigie, valigie....valigie piene di Italia.
Provo ad immaginare cosa potesse aver visto un bambino da dietro quelle finestre, mentre aspettava che i genitori si facessero stravolgere il cognome dal funzionario di turno, e quel maledetto timbro calasse una volta per tutte su mesi e mesi, forse anni, di speranze e spezzasse per sempre le catene dell'angoscia e del terrore per il futuro.
E accanto a loro Greci, Irlandesi, Polacchi, Tedeschi (che credo si siano trovati in circostanze alquanto imbarazzanti, negli anni a seguire)....
Cosa avrà visto quel bambino? La Statua?....la costa? lo Skyline con l'Empire State Building?
L'America, ha visto l'America...e chissà cosa avrà provato, quali brividi...là fuori c'era l'America.
Poi quel bambino é cresciuto, ha cominciato ad aiutare il padre nel panificio...poi ha assistito il padre malato, e lo accompagnò nell'ultimo viaggio all'ombra di tante lapidi ed erba verde...poi ha aperto un altro panificio, più grande e più bello di quello in cui il padre tanti anni prima aveva iniziato a fare il garzone.
Poi si é sposato, ha messo al mondo tanti bambini con i capelli neri come i suoi e gli occhi azzurri come quelli della madre....e quando i bambini furono un pò più grandicelli, iniziò a raccontargli, in un inglese sempre più sicuro, di quella terra lontana col mare davanti e l'odore di un fiore chiamato gelsomino nelle sere di primavera...le leggende e le favole di principesse rapite e vascelli stranieri.
Poi anche quel bambino di Ellis Island iniziava a farsi vecchio, ed era assistito dai suoi bambini oramai non più bambini, ma prossimi all'Università...
Il suo dolore fu grande, quando seppe della disgrazia che era caduta sul suo antico Paese, finito sotto il tallone straniero e oramai prossimo alla distruzione.
Un moto di amore, paura ed orgoglio lo prese quando seppe che uno dei suoi bambini aveva deciso di vestire una divisa ed andare a combattere in quel vecchio, disastrato Paese che lui amava tanto...e ripensava a quando era piccolo piccolo e papà se lo portava in barca a pescare.
Ora suo figlio andava a riprendersi quel mare che non aveva mai visto mi di cui aveva solo sentito parlare nelle favole.
E quando suo figlio non fece mai più ritorno, il bambino di Ellis Island pianse...e non potè credere a quanto beffarda fosse la vita: suo padre, italiano, riposava in america e non avrebbe mai più rivisto l'Italia....suo figlio, americano, riposava in un prato italiano e non avrebbe mai più rivisto l'America.
Gli altri suoi figli crebbero...e divennero avvocati, medici, poliziotti, giudici...ed ebbero a propria volta altri figli.
Il giorno che divenne nonno per la quinta volta, il bambino di Ellis Island andò a riposare vicino al papà.
E insieme, finalmente, tornarono a fare le loro pescate in barca nelle miti serate della primavera mediterranea.
Ancora oggi, si guardano complici e sorridenti mentre le onde placide dello Jonio, del Tirreno e dell'Adriatico cullano la loro barchetta....si lanciano sguardi d'intesa soddisfatti....loro, piccoli italiani senza soldi e senza nulla, hanno costruito l'America.
E milioni e milioni di altre barchette come quella, con padri e figli a bordo, nelle notti di primavera vengono cullate dalle onde davanti alle coste della Grecia, della Polonia, dell'Irlanda....
Sapete...quelli erano i nostri fratelli....era la nostra gente.
Questa notte ho capito una cosa importante.
C'è il sangue dei miei fratelli, dentro quella bandiera a stelle e strisce, c'è il sangue della mia gente, il sangue Italiano.
Anche quella é la mia bandiera: io che sono rimasto, lo devo a tutti quei bambini di Ellis Island che oggi sono in barca di sera davanti al lungomare della mia Terra, della mia Città.
E, soprattutto, lo voglio.
Sono uno schifoso nazionalista? Probabilmente sì, ma almeno io so chi sono.
Se qualcuno non gradisce, buona vita



* * *

THE HANDS THAT BUILT AMERICA (U2)

http://it.youtube.com/watch?v=KTVKVJjc6Ww

Oh my love, it's a long way we've come
From the freckled hills to the steel and glass canyons
From the stony fields, to hanging steel from the sky
From digging in our pockets for a reason not to say goodbye

These are the hands that built America
(Russian, Sioux, Dutch, Hindu)
Oh, oh oh, America
(Polish, Irish, German, Italian)

Last saw your face in a watercolour sky
As sea birds argue, a long goodbye
I took your kiss, on the spray of Endless stars
You gotta live with your dreams, don't make them so hard

And these are the hands, that built America
(The Irish, the Blacks, the Chinese, the Jews)
Ah, ah ah, America / Hand
(Korean, Hispanic, Muslim, Indian)

Of all of the promises, is this one we could keep
Of all of the dreams, is this one still out of reach

Out ta outa reeeach
(Dream-oh-yeah)
(Oh oh-dream, oh love)

It's early fall, there's a cloud on the New York skyline
Innocence, dragged across a yellow line

These are the hands that built America
These are the hands that built America
Ah-ah-ah-ah-ah America

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